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«Stiamo ancora a Caserta, abbandonati al nostro destino, senza vitto e soldi». E' l'ennesimo grido d'allarme lanciato da uno dei 105 migranti del Sai (Sistema di accoglienza e inclusione) di Caserta, sospeso a metà febbraio per sei mesi dal ministero dell'Interno per le criticità emerse nella gestione da parte del Raggruppamento temporaneo di imprese formato dalle coop Esculapio, Innotech e Format. I ragazzi dovevano essere trasferiti per la fine di marzo in Sai di altre province, secondo una procedura che prevedeva che la Rti trasmettesse al Comune di Caserta i nominativi dei beneficiari; nominativi che dovevano poi essere trasmessi al Viminale, che avrebbe quindi dovuto curare materialmente il trasferimento in Sai in cui fosse stata reperita la disponibilità.
Ciò al momento non è avvenuto e mentre il tempo scorre, i beneficiari del Sai di Caserta continuano a vivere in case fatiscenti dove spesso la luce va via o i riscaldamenti non funzionano, e a non ricevere, come ormai accade da mesi, né il vitto e né il pocket money (il primo non lo ricevono da dicembre, il secondo da settembre); sono costretti dunque ad arrangiarsi con lavori sottopagati e in nero nelle campagne, nei ristoranti e dove capita. Su queste situazioni indaga la Procura di Santa Maria Capua Vetere. Ciò che più preoccupa i beneficiari, tutti ragazzi adolescenti già traumatizzati dal viaggio fatto per arrivare in Italia - quasi tutti via mare - e che pensavano di aver svoltato dopo essere stati inseriti nel Sai, è la totale incertezza sul futuro. Qualcuno andava a scuola, qualcun altro giocava in squadre di calcio, tutti volevano essere integrati, secondo quello che è il principe cardine del Sai. Oggi invece preferiscono non dire il loro nome per paura di ritorsioni, e hanno paura di cosa accadrà loro. «Non sappiamo dove andremo e soprattutto come fare a sopravvivere. Inoltre vorremmo che ci dessero i soldi arretrati, ma nessuno ci dice nulla.
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Il Mattino