Carcere, ai picchiatori fu pagato lo straordinario nelle ore dei pestaggi

Carcere, ai picchiatori fu pagato lo straordinario nelle ore dei pestaggi
Non solo non li hanno ancora identificati e quindi sono tutt'ora in servizio nelle carceri. Ma hanno anche percepito il pagamento delle ore di lavoro straordinario, fino a...

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Non solo non li hanno ancora identificati e quindi sono tutt'ora in servizio nelle carceri. Ma hanno anche percepito il pagamento delle ore di lavoro straordinario, fino a quattro per la precisione, per il 6 aprile 2020, ovvero il giorno dei pestaggi nel reparto Nilo del carcere di Santa Maria Capua Vetere. L'elenco dei poliziotti di penitenziaria della task force nominata dall'ex provveditore campano Antonio Fullone è nelle mani della Procura dai primi mesi del 2021, ma associare le azioni violente ai nomi di chi le ha commesse visionando i filmati è impossibile. Come è noto, infatti, gli agenti intervenuti in supporto del personale dell'Uccella per quella che doveva essere una perquisizione straordinaria e invece si trasformò in una «mattanza», parole del gip, indossavano i caschi. Ed è per questo che non sono ancora stati identificati. Ma le indagini vanno avanti con questo obiettivo.

Nessuno di loro è stato ancora interrogato: essendo «indagabili» non possono essere ascoltati in qualità di persone informate dei fatti. Agli atti, oltre la lista di nomi, ci sono documenti contabili che provano, tra le altre cose, che per alcuni di loro il pomeriggio del 6 aprile 2020 furono pagare diverse ore di straordinario. E non solo per loro. Molti degli agenti indagati e colpiti da misura avevano infatti concluso il proprio turno di lavoro quando iniziò la perquisizione e fu loro ordinato di restare in servizio. È quanto emerge dagli interrogatori eseguiti in questi mesi e dal proseguo delle attività di indagine della Procura di Santa Maria Capua Vetere - retta da Carmine Renzulli - che non ha mai smesso di lavorare per chiudere il cerchio intorno ai poliziotti penitenziari che a colpi di manganelli, pugni e calci «vendicarono» l'affronto subito dai detenuti durante la rivolta del giorno precedente quando, appreso che c'erano dei casi covid in carcere, decine di detenuti si barricarono in una sezione distruggendone le suppellettili.

I numeri contenuti nell'avviso di conclusione delle indagini preliminari firmato il 10 settembre e prologo della richiesta di rinvio a giudizio fotografa le dimensioni dell'indagine: centoventi gli indagati che rischiano di finire alla sbarra, centosettantacinque parti offese, ottantacinque capi di imputazione. Oltre le accuse di tortura e violenza e lesioni, c'è l'aspetto relativo ai depistaggi con i quali, nelle settimane successive il 6 aprile 2020 gli agenti e i funzionari tentarono di insabbiare quanto era accaduto al reparto Nilo. Sono i grandi numeri dell'inchiesta sui pestaggi che porteranno al maxiprocesso che con tutta probabilità si svolgerà nell'aula bunker di Santa Maria Capua Vetere. Tra coloro che rischiano il processo figurano l'ex capo del Dap Campania, Antonio Fullone, sospeso dal servizio su ordine del gip e per il quale a metà novembre si discuterà l'Appello cautelare e i dirigenti di polizia penitenziaria Gaetano Manganelli, Pasquale Colucci, Francesca Acerra e Anna Costanzo, oltre agli ex vicedirettori del penitenziario casertano, Mariella Parenti e Arturo Rubino.



Ha lasciato il carcere la settimana scorsa Gennaro Loffreda, uno dei sette poliziotti finiti in cella e ritenuto dagli investigatori tra i componente della «squadretta» che, secondo i detenuti, picchiava i carcerati nel cosiddetto «gabbione», una sorta di cella zero. Loffreda, difeso dall'avvocato Carlo De Stavola, ha risposto alle domande del gip sia in fase di indagini preliminari che più recentemente. La settimana scorsa, il giudice gli ha concesso di tornare a casa ai domiciliari, come già accaduto per gli altri agenti finiti inizialmente in prigione. Respinte, invece, le istanze di altri indagati, tra i quali la funzionaria del Dap, Acerra.  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino