Santa Maria Capua Vetere: sino a 40mila euro per aiutare a superare i test, sei indagati

Gli indagati sono 5 agenti penitenziari e un sottufficiale dell'Esercito

Il tribunale di Santa Maria Capua Vetere
Sono state chiuse alcuni giorni fa le indagini a carico di cinque poliziotti penitenziari e un sottufficiale dell'Esercito Italiano, accusati di traffico di influenze illecite...

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Sono state chiuse alcuni giorni fa le indagini a carico di cinque poliziotti penitenziari e un sottufficiale dell'Esercito Italiano, accusati di traffico di influenze illecite per aver preso soldi da persone con la promessa che avrebbero fatto loro vincere concorsi pubblici nelle forze armate o proprio nella Penitenziaria. L'inchiesta avviata alcuni mesi fa porta la firma della Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, guidata dal procuratore Pierpaolo Bruni. L'ipotesi di reato si sarebbe consumata proprio nell'ambito del circondario giudiziario casertano, ma i destinatari dell'avviso di garanzia, innocenti fino a sentenza passata in giudicato, presenteranno le loro memorie difensive nei prossimi giorni per chiarire la propria versione dei fatti. Gli indagati sono nati fra Capua, Santa Maria Capua Vetere, Aversa, Iesi e residenti nel Casertano e a Roma.

Tra gli indagati raggiunti dell'avviso di conclusione delle indagini emesso dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere (le indagini sono affidate al sostituto procuratore Anna Ida Capone), figurano alcuni sindacalisti come Leo Beneduci, segretario nazionale del sindacato Osapp e il segretario regionale della stessa sigla, Vincenzo Palmieri; il dirigente in servizio al Provveditorato regionale delle carceri Roberto Ottati, l'appartenente all'Esercito, Franco Di Rauso, Antimo Di Rauso ed Ennio Cinquegrana, poliziotti. Per la Procura gli indagati si sarebbero fatti consegnare somme per migliaia di euro (dai 15mila ai 40mila) dai candidati ai concorsi o anche dai loro parenti, tra cui anche appartenenti alla penitenziaria che volevano agevolare il percorso di ingresso nel corpo dei propri figli.

I soldi sarebbero serviti per "oliare" il meccanismo, perché alcuni indagati si sarebbero vantati di avere rapporti importanti a Roma e con i componenti delle commissioni di esame. Resta da accertare dove i soldi presi dagli indagati siano andati a finire, se siano andati ai componenti delle commissioni o a chi poteva effettivamente indirizzare i concorsi. Gli indagati possono anche chiedere di essere interrogati, e in caso contrario la Procura potrà chiedere il rinvio a giudizio e sarà fissata l'udienza preliminare. L'inchiesta, infatti, non è ancora passata al vaglio del gip. L'accusa sarebbe partita da alcune persone che hanno denunciato promesse per superare i concorsi, ma la vicenda giudiziaria ancora in fase di accertamento totale. Deve essere presa con cautela.

Gli investigatori, in ogni caso, si sono mossi sulla base di elementi che hanno consentito di iscrivere le divise nel registro degli indagati. Lo scorso anno si è concluso, invece, il primo grado di giudizio a carico di alcuni agenti penitenziari accusati di prendere mazzette per entrare nelle forze di polizia. In questo caso l'indagine è stata curata dalla Polpen. Nell'occasione furono anche decisi otto patteggiamenti comminati con rito abbreviato dal gup del tribunale di Napoli nei confronti delle divise. Degli undici imputati, tre furono assolti mentre pendono a carico di altre persone altri procedimenti simili per la vendita di posti statali. 

 

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Il Mattino