Santa Maria Capua Vetere, violenze e torture in cella: processo per 105 agenti

Santa Maria Capua Vetere, violenze e torture in cella: processo per 105 agenti
Sarà un mega-dibattimento senza precedenti. Riflettori puntati su quanto accadde, tra l’aprile e il maggio del 2020, all’interno del carcere di Santa Maria...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
99,98€
40€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA FLASH
ANNUALE
49,99€
19€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
 
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA
 
ANNUALE
49,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
99,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 3 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno

Sarà un mega-dibattimento senza precedenti. Riflettori puntati su quanto accadde, tra l’aprile e il maggio del 2020, all’interno del carcere di Santa Maria Capua Vetere. Il gip Pasquale D’Angelo ha accolto le richieste del pm Alessandro Milita e in 105, tra agenti della polizia penitenziaria, funzionari del Dap e della Asl locale, sono stati rinviati a giudizio. Il processo inizierà il 7 novembre alla Corte d’Assise di Santa Maria Capua Vetere perché, oltre alle accuse di maltrattamenti, violenze e torture, tra gli 85 capi d’accusa viene contestato a dodici imputati anche l’omicidio colposo per la morte del detenuto algerino Lakimi Hamine, percosso con accanita violenza nel reparto Danubio. Il reparto dove, secondo la Procura, si verificarono violenze su non meno di 14 detenuti.


Erano i giorni delle tensioni e delle rivolte in più carceri italiane, legate all’esplosione della pandemia e le conseguenti restrizioni decise dal governo anche all’interno delle carceri. Nella struttura di Santa Maria Capua Vetere, realtà difficile anche per annosi problemi logistici, si scatenarono proteste seguite da durissime repressioni. Furono chiesti rinforzi di agenti arrivati dal carcere di Secondigliano. Le reazioni tra le mura del carcere furono durissime e si scatenarono soprattutto nei reparti Nilo e Danubio. La Procura sammaritana ha individuato, attraverso testimonianze, denunce e filmati interni al carcere, un lungo elenco di 178 parti offese. Oltre ai detenuti, vi compaiono il ministero della Giustizia, il Garante nazionale per i diritti dei detenuti, l’associazione onlus Antigone e la onlus il Carcere possibile.

Tra gli imputati, oltre a decine di agenti e a due medici in servizio a turno nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, anche l’ex provveditore regionale del Dap Antonio Fullone e gli ufficiali della polizia penitenziaria Pasquale Colucci, Gaetano Manganelli, Tiziana Perillo e Nunzia Di Donato. È soprattutto la giornata del sei aprile 2020, quella dove si concentrò il più alto numero di violenze, secondo la ricostruzione investigativa. Nell’inchiesta è rimasto aperto un capitolo, legato alla mancata identificazione di oltre 100 agenti che corsero di rinforzo dal carcere di Secondigliano, coperti da caschi e mascherine protettive che non ne hanno consentito il riconoscimento sia dalle testimonianze dei detenuti sia dai filmati Due imputati hanno scelto la strada del rito abbreviato, con processo fissato il 25 ottobre dinanzi lo stesso giudice D’Angelo. Tra loro, c’è il commissario capo Anna Rita Costanzo, accusata di avere organizzato la repressione delle proteste.



Nel lungo elenco di imputati, figura un solo prosciolto. È l’agente della polizia penitenziaria Luigi Macari. Gli inquirenti hanno accertato la sua assenza dal servizio nei giorni dei pestaggi. Decine le intercettazioni utilizzate nelle indagini, in cui i funzionari e gli agenti parlano di facinorosi da colpire e di interventi da attuare per ripristinare il controllo della struttura carceraria. Il 4 maggio del 2020, la morte del detenuto algerino, messo in isolamento, in conseguenze delle violenze subite. Nel provvedimento di rinvio a giudizio, sui dodici imputati accusati di omicidio colposo per la morte di Lakimi Hamine, il giudice D’Angelo scrive, riprendendo l’atto di accusa della Procura sammaritana: «Ne cagionavano la morte a seguito delle torture e maltrattamenti subiti a partire dalle violenze del sei aprile e dalle indebite condizioni di isolamento sociale in cui era stato sottoposto, privato di controlli giornalieri da parte sia di un medico sia di un componente del gruppo di osservazione e trattamento, sia delle vigilanza continuativa ed adeguata da parte del personale del corpo di polizia penitenziaria». Un detenuto con problemi e difficoltà fisiche e psicologiche, aggravate dai pestaggi. E arrivò la morte per «edema polmonare acuto» e «arresto cardio-respiratorio». Sarà il processo a ricostruire la verità giudiziaria, come promesso dalla ministra Marta Cartabia che, nei giorni delle polemiche sull’inchiesta in corso, fece visita all’istituto penitenziario impegnandosi a far luce sull’accaduto.
  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino