MARCIANISE. Una batteria di fuochi d’artificio ha accolto il ritorno a casa di Camillo Belforte perché, in certi rioni, la libertà è qualcosa che va, in...
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Sarà sorvegliato di pubblica sicurezza, forse con obbligo di soggiorno nel comune di Marcianise, ma le restrizioni che il tribunale della sorveglianza gli affibbierà saranno poca cosa rispetto alle sbarre delle carceri di Nuoro e Ferrara, dietro le quali ha trascorso gli ultimi sei anni della sua vita. Ha finito di pagare il suo debito con la giustizia, dunque, i sei anni inflitti con l’accusa di avere retto le fila del clan dopo l’arresto di suo padre.
Quando finì dentro, Camillo Belforte aveva 32 anni e Marcianise era una città molto diversa da quella che trova adesso, spettacoli pirotecnici a parte. Diversa è oggi, soprattutto, la sua famiglia, all’epoca in un assetto diverso da quello attuale. In sei anni tante cose sono cambiate e, soprattutto, il clan oggi è decimata da arresti e condanne e decapitato dal pentimento dello zio, Salvatore Belforte. Secondo quanto sostenuto dalla Dda al processo conclusosi con una condanna, Camillo ereditò lo «scettro» dal padre quando quest’ultimo era detenuto a Biella. Durante un colloquio - era il 2010 - il padre gli passò la reggenza del clan. Durissimo il gip nell’ordinanza che portò alla condanna «Domenico Belforte - scrisse - si occupava di perfezionare la formazione criminale del figlio, impartendogli i fondamentali insegnamenti di natura criminale necessari ad esercitare in modo carismatico il ruolo di capoclan erede del padre detenuto». Da ieri, quel giovane capo, catturato appena dopo essere stato «incoronato», è tornato e il «regno» ha fatto festa. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino