Casal di Principe, cerca la fidanzata, no dei prof: 16enne a scuola con la pistola

Casal di Principe, cerca la fidanzata, no dei prof: 16enne a scuola con la pistola
La scuola lo rifiuta, ma lui ci va lo stesso, perché lì c’è la sua fidanzatina. Mentre se ne va, insieme a suo fratello e ai suoi due amici, alza il...

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La scuola lo rifiuta, ma lui ci va lo stesso, perché lì c’è la sua fidanzatina. Mentre se ne va, insieme a suo fratello e ai suoi due amici, alza il braccio al cielo e brandisce una pistola. Non dice niente, ma il messaggio è chiaro: «Qui comando io». E chi conosce quel ragazzino, a Casal di Principe, sa che non c’è bisogno di parlare per conferire a quel gesto una simbologia tutta «casalese». Il ragazzino protagonista della scorribanda all’Istituto tecnico «Carli» è il nipote di un boss della mala locale.


La vicenda, assurda e inquietante, risale a due giorni dopo il blitz che ha decapitato quelle che la Dda ha definito le «nuove leve» dei Casalesi. Una retata con 42 arresti e due nomi «eccellenti»: uno è quello di Walter Schiavone, figlio del boss Francesco «Sandokan», l’altro è quello di Mary Venosa, figlia dell’ex reggente, oggi pentito, dell’omonima cosca confederata ai Casalesi. E, la settimana scorsa, in carcere sono finite le figlie del boss Francesco Bidognetti. Risultati eccellenti in termini repressivi, che però il procuratore aggiunto della Dda di Napoli, Giuseppe Borrelli, commentava così: «La camorra non si esaurisce, si rigenera ciclicamente, mai abbassare il livello di attenzione».

Non un presagio, ma una visione analitica di un territorio dove la malavita è anti-cultura incacrenita. Ma è solo una delle chiavi di lettura dell’inquietante episodio del quale sono ritenuti responsabili il nipote del camorrista, suo fratello e altri due ragazzini. Hanno tra i quindici e i sedici anni. Hanno il coraggio di entrare in una scuola con una pistola a salve priva del tappo rosso, di quelle che all’apparenza sembrano armi vere. E vera è sembrata quella pistola ai professori che hanno assistito alla scena.

Terrorizzati, mentre il ragazzo alzava l’arma e si allontanava, scortato dagli altri adolescenti, attraversando lentamente il cortile della scuola. Gli insegnanti devono aver temuto per l’incolumità propria e degli alunni. Hanno chiamato i carabinieri. Ieri tre dei quattro protagonisti della vicenda sono stati identificati. Solo il nipote del boss, unico ad aver brandito l’arma, è stato denunciato alla procura dei minori per la pistola modificata. Gli altri, nel concreto, non hanno commesso alcun reato. 

I genitori del ragazzino, che a quanto pare sono entrambi incensurati nonostante uno dei due sia figlio del boss, convocati in caserma si sono mostrati dispiaciuti per quanto accaduto. L’episodio è stato segnalato ai servizi sociali. Ma è l’antefatto, il retroscena della vicenda a generare più di una riflessione. L’anno scorso il ragazzino denunciato e suo fratello frequentavano l’Istituto «Carli», ma secondo quanto reso noto dalla direzione scolastica dopo essersi resi protagonisti di numerose bravate furono allontanati dall’istituto e invitati a scegliere un altro percorso di studi. A settembre hanno di nuovo presentato la richiesta di iscrizione, ma l’Itc «Carli» non li ha accettati «ritenendoli incompatibili con la serenità della scuola».


Un cane che si morde la coda. Da un lato la scuola come «alternativa» alla strada, dall’altra le porte chiuse ai ragazzini difficili. Come accaduto a Casal di Principe dove il piccolo bullo forse a scuola ci è andato con la pistola più per lanciare una sfida a chi lo aveva rifiutato che per mettere in essere chissà quali reati. I testimoni hanno riferito che non ci sono state minacce, né alcuna violenza. Solo quell’arma alzata verso il cielo. Il nipotino del boss ha deciso di emulare le gesta dei camorristi per imporsi dopo il rifiuto. Una storia che deve far riflettere nella sua interezza, dal prologo all’epilogo, al netto della gravità indiscutibile dell’episodio.   Leggi l'articolo completo su
Il Mattino