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Per una prestazione sessuale occorrono cinque euro. Con la stessa cifra si può acquistare una birra da discount e una coscia di pollo fitta. Per avere una birra di qualità poco superiore bisogna pagare tre euro. Con dieci si può avere anche uno spinello. Sono i costi dei prodotti e dei servizi forniti all’interno delle connection house di Castel Volturno, appartamenti la cui traduzione letterale è: “casa di connessione”. Ma che nei fatti sono case chiuse. Ma chiuse agli italiani. Già, perché questi luoghi gestiti da immigrati centroafricani, solitamente da un gruppo di donne, sono dedicati esclusivamente alle esigenze della loro comunità. Chiaramente, le connection house sono tutte illegali. Ma questo per la città domiziana, abituata un’illegalità diffusa che soffoca ogni settore, è poco più di un particolare. Le forze dei polizia conoscono bene il fenomeno, sono consapevoli che sulla costa domiziana sono almeno un centinaio le case chiuse africane, ma hanno difficoltà a intervenire. Di per sé la prostituzione nel nostro Paese non è reato e le ragazze delle connection house (nigeriane o ghanesi) hanno quasi tutte in tasca un permesso di soggiorno, o per ragioni umanitarie o come ambulanti. A differenza delle ragazze della stessa nazionalità che si prostituiscono per strada, il cui mercato è dedicato ai clienti italiani, quelle che lavorano nelle case di connessione sembrano più libere dalla pressione dei network criminali.
«PROFESSIONE PROSTITUTA»
Joi, almeno così racconta di chiamarsi la ragazza nigeriana di venticinque che vive insieme a tre connazionali in una connection house a Destra Volturno, a pochi chilometri dal municipio e dalla Chiesa principale del paese, spiega che appena arrivata in Italia ha lavorato tre anni sui marciapiedi della Domiziana.
«NO ITALIANI»
Intanto, suona il campanello. Alla porta ci sono due ragazzi africani. Entrano in casa, sorridono e si siedono rapidamente in sala da pranzo, di fianco al tavolo, con una sicurezza come se conoscessero bene il luogo. Alle loro spalle c’è una grossa credenza zeppa di alcolici. Di fianco pile di confezioni di Pepsicola e di Fanta in bottiglie di plastica. Joi apre il frigo che si trova nella stessa stanza e consegna due birre ai ragazzi senza che loro aprano neanche bocca. Ma perché non sono ammessi italiani? A rispondere è sempre la ragazza di vita che sogna di fare la parrucchiera: «Perché qui i nostri ragazzi si sentono a casa. Nessuno li guarda mare, nessuno gli usa violenza. Qui vengono dopo una dura giornata di lavoro e vogliono solo rilassarsi, divertirsi un poco. Se ci fosse pure qualche italiano si rovinerebbe il clima e calerebbero anche gli affari». E siccome business is business, l’alt agli italiani è necessario. E sempre per lo stesso motivo è arrivato anche il momento di chi sta facendo tutte queste domande di andare via. Senza pressione, meno che aggressività. Ma l’elemento anomalo deve lasciare la casa, perché la connection house apre e la priorità è degli affari.
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Il Mattino