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Aveva seguito una rotta tracciata dai militari dell’esercito che erano saliti a bordo dell’elicottero Ab 204 - presunte vittime vere, purtroppo - pensando però di farla franca. Lui, militare della guardia di Finanza, aveva strofinato un pezzetto di amianto nella cabina dell’elicottero per far rilevare la presenza della fibra nella cabina. In questo modo, avrebbe potuto ottenere un indennizzo economico per essere stato a contatto con la fibra tossica in orario di lavoro. Ma mentre sfregava il pezzetto di amianto, M. Belcufinè di Sparanise - luogotenente specialista di elicotteri in servizio alla sezione aerea della guardia di finanza di Napoli-Capodichino - era stato filmato dalla telecamera interna dell’elicottero e per questo motivo (sette anni fa). Una prova schiacciante: processato, era stato condannato a sei anni di carcere dal tribunale militare italiano. All’occhio di uno specialista, il luogotenente Belcufinè non poteva certo farla franca. La questione della presenza di amianto sugli elicotteri pare fosse nata con gli Ab 204 che nella fase di spegnimento emanavano delle radiazione con un leggero strato di amianto che si sarebbe formato internamente.
L’ACCUSA
Il reato contestato al luogotenente di Sparanise è quello di «sabotaggio di opere militari».
L’OSSERVATORIO
In realtà, negli anni, i militari che hanno combattuto realmente i rischi dell’esposizione all’ amianto sono moltissimi. A confermarlo, è una voce che più di tutte rompe con le ipotesi avanzate dal pilota Leggiero. «Negli elicotteri della guardia di finanza, a suo tempo, erano presenti dei componenti di amianto che, per forza di cose, si riducevano allo stato pulverolento, procurando l’esposizione», spiega l’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’osservatorio nazionale Amianto, ascoltato più di una volta in commissione Difesa alla Camera. «Ricordo il caso del militare in questione - continua Bonanni - ma poi non l’ho più seguito». «Posso dire, in ogni caso, che c’era una condizione di rischio amianto legata alla lunga latenza di queste patologie per condizioni di esposizione e la latenza può arrivare anche a 30 o 40 anni dall’esposizione». E infatti, in caso di danni alla salute si può chiedere sia lo status di vittima del dovere che il risarcimento di tutti i danni. E questo punto voleva, probabilmente, arrivare Michele Belcufinè. L’indagine su di lui è arrivata prima. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino