CASERTA - La verità sul suicidio di Tiziana Cantone in un codice. Sono quattro le cifre che chiudono l’iPhone di Tiziana agli inquirenti come un fortino. Prima...
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L’istanza è stata concepita dopo una ispezione sui telefoni del consulente informatico Carmine Testa, nominato dal procuratore Francesco Greco, che ha depositato una prima relazione ai magistrati chiarendo che è «impossibile accedere al dispositivo della vittima». Intreccio tecnico difficile da dipanare, anche perché c’è un precedente: il caso di Leonardo Fabbretti, architetto di Foligno e padre di un ragazzo morto dopo una lunga malattia che si era visto chiudere in faccia le porte dal team Apple dopo un secco “no” in risposta alla sua istanza di accedere alle foto del figlio contenute nell’iPhone. Il “Department of Justice U.S.” ha già fatto sapere all’ufficio inquirente di Napoli nord ad Aversa che la Apple potrebbe non fornire il codice immesso da Tiziana nel suo cellulare, ma richiedere di inviare il cellulare negli Stati Uniti d’America per poterlo “aprire” e renderlo fruibile agli investigatori. La Apple considera la rivelazione del codice dell’iPhone come una «vera e propria violazione della privacy», al punto di negare - nei mesi scorsi - anche l’accesso ai dati del telefono in possesso di un terrorista di San Bernardino, accesso poi eseguito grazie a tecnologie israeliane.
Proprio nell’ufficio del pm Esposito, due giorni fa, è stata ascoltata un’amica di Tiziana Cantone: si tratta di Teresa Petrosino, giornalista di una emittente locale che aveva rilasciato delle dichiarazioni sulle confidenze fattele da Tiziana: «Voleva cambiare vita, era finita in questo schifo», aveva spiegato alle telecamere il giorno dopo il suicidio della 33enne di Casalnuovo. Petrosino è la teste-chiave per la Procura, l’unica che non ha avuto remore nel raccontare ciò che le disse Tiziana poco prima di morire. Voleva cambiare vita, Tiziana. A 33 anni i suoi video hot erano finiti sul web ed erano diventati virali. Si era rivolta in Prefettura per cambiare anche il cognome: da Cantone a Giglio. Poi aveva denunciato quattro ragazzi indagati per diffamazione dal pm di Napoli Alessandro Milita, ma non aveva però fornito il nome di colui che aveva girato il filmino divenuto virale: «Stai facendo un video, bravo». È stato però rintracciato dalla Procura di Napoli nord e messo sotto torchio. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino