Operaio morto folgorato nel cimitero, dopo nove anni condannati in tre

Operaio morto folgorato nel cimitero, dopo nove anni condannati in tre
SAN CIPRIANO D'AVERSA - È arrivata dopo nove anni la sentenza di primo grado per la morte di un operaio di San Cipriano d'Aversa folgorato mentre lavorava...

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SAN CIPRIANO D'AVERSA - È arrivata dopo nove anni la sentenza di primo grado per la morte di un operaio di San Cipriano d'Aversa folgorato mentre lavorava all'interno del cimitero di Villa Literno. Era il marzo del 2010, quando Raffaele Venditti, 47 anni, all'opera su un ponteggio, urtò con un'asta metallica una centralina elettrica a media tensione che, per effetto della conduzione, provocò una forte scarica di corrente che fece cadere da oltre tre metri l'operaio.

 
Le accuse contestate agli imputati riguardavano a vario titolo omicidio colposo e falso in quanto è emerso, nel corso delle indagini, un tentativo di «addomesticare» alcune cartelle cliniche. In particolare, il giudice monocratico Roberta Carotenuto, della prima sezione penale del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ha firmato tre condanne e due assoluzioni. La pena maggiore, 5 anni di reclusione, è stata irrogata all'imprenditore di Villa Literno Pasquale Mastrominico; 1 anno e sei mesi è la condanna comminata all'ingegnere Luciano Pianese di San Marcellino (pena sospesa e non menzione); 2 anni e due mesi di reclusione, invece, sono stati irrogati a Vincenzo Schiavone di Casal di Principe. Assolti altri due imputati, Giuseppe Maria Nolè di Aversa e Antonio Fabozzi di Villa Literno, difeso dall'avvocato Mario Griffo.

Dopo la morte dell'operaio, fu accertato che era stato assunto a nero e che non erano stati predisposti i necessari adempimenti per garantire la sicurezza di Venditti. Inoltre, a seguito degli interrogatori, emerse che l'imprenditore Mastrominico, insieme al medico Vincenzo Schiavone, avevano falsificato le cartelle mediche relative ad altri operai per i controlli di rito, circostanza emersa a seguito della denuncia del medico Massimo Di Rienzo. La firma di quest'ultimo - che aveva rapporti professionali con Schiavone, è emerso dal processo - fu apposta falsamente per addebitare a Di Rienzo la responsabilità: circostanza che spinse Di Rienzo a presentare una querela nei confronti di Schiavone. Per questo motivo Schiavone e l'imprenditore Mastrominico sono stati condannati anche per il reato di falso. Il giudice Roberta Carotenuto, inoltre, ha disposto il risarcimento danni in favore delle parti civili e una provvisionale immediatamente esecutiva di cinquantamila euro a favore degli eredi dell'operaio morto. Secondo l'accusa, non sarebbe stato effettuato dal referente dell'impresa edile il reale rischio di pericolo per l'attività lavorativa in presenza di un pericolo grave e imminente - secondo il capo di imputazione in capo all'ingegnere - in prossimità della linea elettrica che fu fatale all'operaio. Venditti trovò la morte mentre era in procinto di effettuare l'allestimento di un ponteggio a cinque livelli, tra due corpi di loculi, sopra i quali vi era la presenza di una linea elettrica aerea di media tensione, posta a circa quattro metri di altezza dalla sommità dei loculi già realizzati per la parte strutturale e in corso di completamento.


L'uso di un'asta metallica adoperata per livellare il calcestruzzo per i loculi, non a distanza di sicurezza, provocò la scarica elettrica che fece perdere l'equilibrio al povero operaio facendolo cadere da un'altezza di circa quattro metri. L'autopsia stabilì che Venditti fu colpito da una insufficienza cardiorespiratoria acuta con conseguente arresto cardiaco causata da una folgorazione da corrente elettrica. Il processo è terminato nove anni dopo il tragico episodio. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino