“A volte esagero”, nuovo romanzo del giornalista Salvatore Dama

“A volte esagero”, nuovo romanzo del giornalista Salvatore Dama
“A volte esagero” è il nuovo romanzo di Salvatore Dama, giornalista e scrittore di origini campane (è nato ad Aversa) e romano d’adozione....

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“A volte esagero” è il nuovo romanzo di Salvatore Dama, giornalista e scrittore di origini campane (è nato ad Aversa) e romano d’adozione. L’opera - 256 pagine, edita dalla Società Editrice Dante Alighieri, 12,50 euro - è una istantanea pulp, politicamente scorretta, dissacratoria, di un’umanità disposta a tutto pur di apparire.

Il romanzo è ambientato nel mondo delle palestre.
«Ma non è un romanzo sulle palestre. Semplicemente, i circoli sportivi sono i collettori abituali dei personaggi che avevo voglia di raccontare: i turbo-narcisisti. I loro tic, l’attitudine maniacale all’apparenza, l’avidità, l’egoismo, il vuoto che fanno intorno a sé di ogni relazione sentimentale. Ho avvolto questa umanità discutibile nel guscio confortevole di Roma Nord, il quadrante alto borghese della capitale. Ma non ho dubbi che potesse essere ambientato, con lo stesso successo, anche a Napoli o a Milano».  

Un altro luogo di elezione dei turbo-narcisisti sono i social.
«Vero. Senza generalizzare, ma viviamo in tempi in cui il giudizio dello specchio viene prima di tutto. E oggi il nostro specchio virtuale sono i social. Questo ci porta - e mi ci metto dentro anche io - a costruirci degli Avatar. Proponiamo agli altri una meta-verità, la proiezione di quello che vorremmo essere, non di quello che siamo. E il differenziale tra vero e virtuale crea malintesi e frustrazioni».

Tipo la “sindrome depressiva da social network” di cui parli nel romanzo?
«È il titolo di una canzone di Marracash. E descrive puntualmente chi “si fa” di like e giudizi altrui. Come una droga. Stare offline, in assenza del consenso virtuale, porta astinenza. Guardare le bacheche degli amici e la bella vita degli altri - che poi magari è un'ostentazione fake - determina depressione e malessere verso la propria esistenza. Il mio romanzo fa emergere questi fenomeni sociali. Spesso ci siamo così dentro che bisogna fare un passo di lato, per vederli. Io l’ho fatto. Ma senza alcuna pretesa pedagogica. “A volte esagero” non contiene giudizi. Se non nel sottotesto, nella parabola delirante dei protagonisti. Che finiscono tutti malissimo. Vittime, in diverse forme, della loro egolatria. Ci tengo a precisare che il libro non è una mattonata. La cifra stilistica è sempre quella del black humor, come in Foresteria [For Hysteria], il mio primo romanzo. Di fatto “A volte esagero” è un follow up: stessi personaggi, con la loro carica cinica e trash, ma ambientazioni e storie che cambiano».

Nella sinossi, lo presenti come una “istantanea pulp e politicamente scorretta”.
«È un romanzo “sugar free”. Non solo perché il protagonista, Alex “il Proteina”, si autoproclama ideologo di una dieta “maoista” - intesa come dittatoriale - e combatte la sua guerra personale contro il glucosio. Ma perché, più in generale, nel libro non c’è zucchero: zero spazio per i buoni sentimenti. La narrativa “Harmony” non fa per me. Non mi appartiene. Ispezionare e raccontare i lati più dark dei personaggi, farlo senza filtri: questa sì è la mia cosa. E provo a scriverne in maniera immaginifica. Tratteggiando su un foglio il brutto, l’impresentabile, la discarica umana. I miei libri concettualmente sono una carrellata di meme. D’altronde i millennials e la generazione Z sono assuefatti a questo genere di comunicazione istantanea, con un tomo da 300 pagine si rompono le balle».

Nella tua bio scrivi di te stesso “scrittore indie”. Che significa?
«Indie nel senso di indipendente. Come scrittore vivo in una nicchia. Resto underground per il semplice fatto che questo non è il momento della letteratura Pulp. I Novanta lo sono stati. Oggi impera il politicamente corretto. Secondo Quentin Tarantino la storia è ciclica e stiamo rivivendo l'oscurantismo degli anni Ottanta. Finirà. E lo spero fortemente. Ci sono alcune parole che non puoi usare, storie che non puoi raccontare. Ed è triste che questa tendenza arrivi dagli Stati Uniti, l’America fino a un tot di anni fa era il paradiso del libero pensiero. Per dire: il mio immaginario anticonformista si è formato, durante la post-adolescenza, con South Park, i Simpson, I Griffin, il Grande Lebowski, i film di Tarantino. Il paradosso è che Oltreoceano, come ha detto Bret Easton Ellis in una recente intervista, oggi un capolavoro come “American Psycho” non troverebbe un editore disponibile a pubblicarlo».

Tu però l’hai trovato.
«La prima cosa che mi ha detto Mauro Spinelli, il boss della Dante Alighieri, quando mi ha incontrato, è stata: “Tu stai fuori come un balcone!”. Loro pubblicano il dizionario Rocci, greco-italiano. Però gli piaceva l’idea di avere qualcosa di fresco, non convenzionale, in catalogo. Ed eccomi qui».

Prossimi progetti?


«Mi incuriosisce il mondo dei rider, uno di quei lavori nati dalle macerie del globalismo e della crisi. Dicono: sono i nuovi schiavi. E’ così? Al riguardo c’è la tesi di un sindacato che, in deficit di tesserati, oramai rappresenta più i pensionati che i lavoratori. E c’è tutta una letteratura ideologicamente orientata. Io volevo andare oltre la narrativa ufficiale e toccare con mano. Così da un paio di mesi sono rider anche io. Ho il mio zainetto e sto andando a fare le consegne. Vivere il fenomeno, poi raccontarlo: questo è il mio clichè. Per scrivere “A volte esagero” ho preso il brevetto da istruttore di fitness. Il nuovo romanzo uscirà entro l’anno e avrà una sezione fumettata dall’artista napoletano Luigi Gallo. Al momento posso solo dire che i pariolini ricchi sono avari nelle mance…». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino