La fisionomia di «Mr. Ferrante» inchiodata addosso a Domenico Starnone, da solo o in coppia con la moglie Anita Raja, indurrà molti a leggere il suo ultimo...
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Verrà la tentazione di chiedersi se si tratti di tracce astutamente disseminate da Starnone o piuttosto della continuazione di un percorso letterario da «interno borghese» già comune a Lacci e Scherzetto, oltre che di ricerca dell'autore sull'interiorità, in un confronto tra aspirazioni giovanili e approdi della maturità. Ma poi si è tutti talmente immersi in questo gioco da correre il rischio di far torto a Starnone, sovrapponendo la querelle sull'identità ferrantiana a una lettura meritevole di massima attenzione. Perché, pur non avendo il respiro corale e il bagliore folgorante di via Gemito, Confidenza è il nuovo bel libro di uno dei massimi scrittori italiani.
È un romanzo breve diviso in tre monologhi-confessioni, sorta di Rashomon dagli anni '60 a oggi: il primo, lungo tre quarti del libro, riporta la voce di Pietro Vella, napoletano professore di un liceo della periferia romana. Il secondo viene da sua figlia Emma quando il padre ha quasi ottant'anni. Il terzo è la versione di Teresa, la ormai ultrasessantenne ex ragazza sfolgorante con la smania di «essere sempre al centro, alzando il livello anche della chiacchiera più frivola», ex allieva-amante con «un cervello che macinava di tutto, dalle materie scientifiche a quelle letterarie». Nel raccontarsi, Pietro disegna due forti ritratti femminili, quello della moglie Nadia ma soprattutto quello dell'audace studentessa Teresa amata fin dall'inizio,«quando sedeva in un banco accanto alla finestra ed era una delle mie allieve più vivaci».
Il primo racconto fa risaltare il sarcasmo scintillante tipico della scrittura di Starnone, il suo senso tragicomico della vita, in una trama intessuta dei materiali narrativi dei libri precedenti: le ambiguità dei rapporti amorosi, le ambizioni non risolte, i sensi d'inadeguatezza come corollario dell'onestà intellettuale, la difficile relazione padre-figlio. Torna il mondo della scuola, che segnò l'esordio nella scrittura del professor Starnone ed è poi diventato un suo tòpos letterario. Alla scuola, Pietro dedica un articolo poi ampliato in libro che gli darà la fama ma non placherà il sospetto di una propria mediocrità. L'ironia di Starnone riproduce una visione di «Buona scuola» di sapore renziano, tutta frasi a effetto che sembrano inventate da Crozza: «Non permettete che il potere vi istruisca, imparate voi a istruirlo. Una buona istruzione fa comunità, non comunella. Non si tratta di istruire bene i felici pochi ma di istruire benissimo gli infelici moltissimi». E via declamando.
Lo snodo della storia è il patto tra il 33enne prof e la sua amante 23enne Teresa. Come nel Doppio sogno di Schnitzler, lo snodo della storia è una reciproca confessione tra il 33enne prof e la sua amante 23enne Teresa. Lei propone che ciascuno sveli all'altro «qualcosa che, se si sapesse, ti distruggerebbe per sempre». Non sapremo mai di che cosa si tratti, ma il patto aleggerà sull'intera storia. E graverà sulla vita di Pietro, condizionando il suo stesso rapporto con la moglie Nadia, prof di Matematica dal temperamento mite, arrendevole, opposto a quello di Teresa ma non privo di sorprese. Molti anni più tardi, il patto verrà aggiornato con una specie di «matrimonio etico»: l'impegno a gestire quei segreti come il tracciato di un limite, per una tensione normativa che vieti il tradimento borghese, la trasgressione banale. Roba da restare col fiato sospeso fino al colpo di scena delle ultime righe.
Si esce dalla lettura totalmente appagati, a riprova del fatto che è sempre il mistero ad appassionare, non la scoperta del «colpevole». Anche quando tutti sappiamo chi è. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino