«Matilde Serao, la sua vita, la sua infaticabile intelligenza, il suo impegno pubblico dovrebbero diventare una fiction. Uno di quei film che hanno il sapore della storia, i...
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Tra le Italiane Matilde Serao merita un posto di rilievo e se questo posto le viene riconosciuto nel novantesimo anniversario della morte assume un significato anche di riconoscenza. Una data, un ricordo, un impegno.
Quando ventotto anni fa pensai la prima volta di scrivere una biografia della Signora del «Mattino» ero giovane, a lei avevo dedicato già qualche anno di studi. Mi appassionava la sua verve, l'ironia, talvolta il sarcasmo, mi piaceva la bellezza della sua bruttezza, la disinvoltura della sua intelligenza, la sua risata crassa e contagiosa. Mi piaceva quel suo modo di scrivere a metà strada tra la dolcezza del sentimento e la crudezza della realtà. Mi piaceva e mi appassionava la sua scrittura, verace come verace fu la sua dedizione alla penna, alla parola, al fascino che essa esercita. Non fu mai schiava dei giudizi della gente e mi piaceva anche per questo. Era una donna di destra, monarchica, cattolica convertita e convinta, a tratti un po' codina e in questo suo guardare e vivere la vita non ci assomigliavamo e non ci somigliamo.
Fu sempre antifemminista, fu contro le battaglie per i diritti civili e politici delle donne e in questo non ci somigliavamo e non ci somigliamo. Ma io sentivo che la sua vita, fuori dal prodigio della letteratura che tanto dà e tanto schiaccia, andava raccontata per quello che era stata: la vita di una donna.
A cavallo di due secoli, visse le emozioni delle conquiste giovanili, fu prima e unica redattrice di un giornale fatto di soli uomini, il «Capitan Fracassa», prima donna a seguire le cronache parlamentari, prima donna a cofondare e codirigere un quotidiano; oltre quaranta pubblicazioni, molte tradotte in altre lingue. Scrisse di cinema, furono sue le sceneggiature di «La mia vita per la tua», «Torna a Surriento», «La mano tagliata», «Dopo il perdono»; fu la prima letterata a prestare la sua penna e la sua immagine per la pubblicità quando la società di massa faceva capolino in una Napoli che si sentiva ancora capitale.
Non fu la prima donna a subire i tradimenti continui del marito, quello Scarfoglio che l'amò e desiderò ardentemente e che per sposarla si mise contro sua madre ma che poi per lei non ebbe rispetto come non rispettò le donne che amò e usò. Una fra tutte quella Gabrielle Bressard che il 29 agosto 1893, distrutta dal dolore, mortificata dall'indifferenza dell'uomo che amava, offesa dal giudizio sferzante della gente, si recò a casa di Matilde ed Edoardo, bussò alla porta, consegnò nelle braccia della cameriera la bimba nata da qualche giorno dalla relazione con Scarfoglio e tra le sue manine pose un biglietto per il padrone di casa, suo padre: «Perdonami se vengo a uccidermi sulla tua porta come un cane fedele. Ti amo sempre». E si sparò.
Non morì subito la sciagurata. Trasportata d'urgenza all'ospedale degli Incurabili, morì il 5 settembre. Al suo capezzale solo Matilde che non la lasciò sola. La piccola, orfana di madre, trovò tra le sue braccia quell'amore che la superficialità e l'irresponsabilità del marito le avevano negato. L'accolse come sua, l'accolse come figlia. La chiamò Paolina, le diede il nome dell'amata madre.
Matilde fu donna tra lacrime e conquiste, scalate e sacrifici, fu giornalista vera e narratrice prolifica. Andava raccontata così, come donna che visse. Intensamente.
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Il Mattino