“L'oceano oltre la rete” di Ettore Zanca e il lato umano del calcio

“L'oceano oltre la rete” di Ettore Zanca e il lato umano del calcio
Un’isola in mezzo all’oceano, un campo da calcio e una passione smodata: questi i tre protagonisti di “L’oceano oltre la rete” di Ettore Zanca, edito...

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Un’isola in mezzo all’oceano, un campo da calcio e una passione smodata: questi i tre protagonisti di “L’oceano oltre la rete” di Ettore Zanca, edito da Arkadia. David Rojo è il calciatore più famoso della sua isola, San Vignan, ha vinto tutto, compreso il campionato del mondo. A 39 anni è pronto a ritirarsi dalla carriera calcistica, finché non viene richiamato sulla sua isola che sale in massima serie contro ogni aspettativa. Una volta fatto ritorno alla terra natia, Rojo è costretto a scontrarsi con vecchi rancori, amicizie abbandonate, amori svaniti, insomma il passato che torna a galla. A tenere le redini, per fortuna, ci sono le donne dell’isola.

Come nasce la storia?
«Intanto credo che il calcio, dopo l’amore, sia il secondo motivo di batticuore. Credo anche che sia l’ultima forma di religione che abbracciamo quasi tutti. Ho voluto scrivere un libro in cui faccio finta di parlare di calcio, perché non ne parlo in modo tecnico ma esploro il lato umano dello sport. Ho scelto di raccontare le esistenze dei calciatori. È incredibile come si incrocino 22 storie personali sul campo ad ogni partita. Basti pensare che all’ultima finale dei mondiali c’era chi voleva ricordare l’amico morto in un incidente e chi voleva rendere omaggio al nonno morto fucilato nelle milizie».

L’Isola, però, non esiste.
«L’isola persa in un oceano mi sembrava il modo migliore di raccontare la mia storia, poi, giocando sulle assonanze, ho reso omaggio alla mia isola Favignana, dove ho fatto l’ultimo bagno con mio padre, il 24 novembre 2001. San Vignan potrebbe essere ovunque. Nel mio immaginario si trova in una zona nordica, non sudamericana. Volevo che la mia isola fosse un posto che va avanti soltanto attraverso il calcio e la pesca, così la immagino tra i mari persi d’Inghilterra oppure nei posti nordici, un po’ come l’isola che non c’è di Bennato che se ci credi esiste davvero ovunque tu voglia».

Rojo ha una grande passione per il calcio: è anche sua?
«Sono un uomo di calcio. L’ho sempre amato, anche se non è stato un amore corrisposto. Il calcio è lo sport democratico per eccellenza. Di solito gli sport richiedono necessariamente preparazione fisica, ma anche disponibilità economica, come per il tennis, per praticarlo devi essere in grado di accedere a un club, mentre per il calcio basta una palla comprata a pochi euro che ti consente di giocare ovunque tu voglia, anche su una strada piena di macchine. Poi, i calciatori non se la mandano a dire, hanno un grande senso di lealtà e correttezza, sono capaci di commuoversi all’interno della squadra, ma sono anche capaci di disprezzarsi guardandosi in faccia e ogni tanto la maglietta la trattengono se serve a non far segnare la squadra avversaria».

Quanto c’è di personale in questa storia, oltre la passione per il calcio?


«Il protagonista è una riunione di una serie di calciatori che nella vita ho ammirato tanto, ma non voglio dirli perché altrimenti si capirebbe la strada che prende Rojo. Sicuramente, qua e là, c’è l’omaggio ad alcuni calcatori, per esempio a Francesco Totti per il suo tenere duro fino all’ultimo e non mollare mai. Di mio c’è tanto in altre cose, ad esempio nel voler fornire una chiave femminile della storia. Le donne nella nostra vita sono la nostra salvezza sia per un lavoro di squadra che per la nostra esistenza personale. Volevo rendere omaggio anche alle donne, che ci guidano sempre. Poi ci sono i concetti di amore in senso largo, amore per l’altro sesso, amore famigliare, amore fraterno da amici e amore tra legami di sangue. Volevo far emergere cosa non si farebbe per amore, oltretutto, e anche la mia visione dei cattivi, che non sono mai soltanto cattivi». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino