Giuseppe Lupo, «Il Tabacco Clan» e il Grande freddo nella Milano degli anni Ottanta

I nuovi protagonisti sono i figli dei genitori protagonisti di Gli anni del nostro incanto e della Breve storia del mio silenzio

Giuseppe Lupo
«Siamo la generazione delle intercapedini», dice colui che si conoscerà come il Piccolo Chimico. Lui è uno del Clan, cioè di quel gruppo di ex...

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«Siamo la generazione delle intercapedini», dice colui che si conoscerà come il Piccolo Chimico. Lui è uno del Clan, cioè di quel gruppo di ex studenti universitari che nella Milano della seconda metà degli anni '80, proiettati da geografie varie e condizioni sociali diverse, si ritrovarono nello stesso convitto cattolico e qui stabiliscono un legame di amicizia fortissimo, «la trama di un tessuto che ha avvolto le nostre vite come una coperta invisibile». Sono Kasperczak e il Tennico, Caracalla ed Etienne Voletienne, il Cardinale e Chateux, Fefé e il Pres, Alfio Segretario e Davide Na, Piercamuno e il Vice Capellone che insieme al Piccolo Chimico in quarant'anni hanno mantenuto frequentazioni e contatti, alimentando un'istituzione a metà tra la confraternita intitolata al sedere della Roberta della dominante pubblicità degli slip e il club da college inglese alla Bronski Beat. Il Tabacco Clan, nel senso della mitica miscela da pipa consumata dai più, che è il titolo del nuovo romanzo di Giuseppe Lupo (Marsilio, pagine 299, euro 18).

Si tratta della storia di una riunione fissata con rara sapienza dal destino: il matrimonio del figlio del Cardinale e della figlia di Piercamuno, nato da un incontro casuale e quindi a maggior ragione da intendersi segno di un disegno quasi superiore. Per festeggiarlo si riuniscono in un albergo di Stresa, sul lago Maggiore lo stesso dove Winston Churchill aveva soggiornato con la sua amante, ma soprattutto quanto di più prossimo all'architettura del convitto milanese - e l'occasione si declina come una straordinaria cerimonia dei ricordi da condividere nella nostalgia leggera e divertita dei tempi andati e nella opportunità di un trattenuto bilancio del presente e di un'apertura speranzosa al futuro: «Quel che abbiamo vissuto doveva trovare il magazzino in cui conservarsi, altrimenti perché viverlo?».

Si sentono la generazione delle intercapedini perché si sono trovati in mezzo, «da una parte i nostri padri che hanno costruito l'Italia e li abbiamo ammirati nella loro forza di padri, spettatori di una vittoria e dall'altra i nostri figli, un'altra soglia della vita, che abbiamo seguito con lo sguardo mentre prendevano in largo». 

Così, Tabacco Clan segna il passaggio di stagione nell'arco temporale lungo il quale si distende la linea narrativa di Giuseppe Lupo. I suoi protagonisti sono i figli dei genitori protagonisti di Gli anni del nostro incanto e della Breve storia del mio silenzio, gli eredi della generazione che aveva le radici nelle atmosfere di L'americano di Celenne e di La carovana Zanardelli, nei traumi da terremoto di L'ultima sposa di Palmira: sono i ragazzi che l'ansia della modernità ha proiettato dalla provincia italiana a Milano, nella metropoli hanno studiato componendo il loro racconto di formazione al mondo.

Il Clan è stato l'ombrello sotto il quale le loro solitudini hanno trovato il riparo e anche la zona di conforto che ha tenuti lontano da quelli che loro riconosceranno essere i centri del potere. «Stai ancora spettando il momento in cui entrare in gioco?», è la domanda che Caracalla pone agli altri e a se stesso. La risposta è che tutti loro, in fondo, sono rimasti periferici, conservando la sostanza dei tratti caratteriali che la marginalità provinciale ha impresso. Il loro limite, la loro forza. 

Nell'hotel di Stresa trascorrono la lunga attesa dell'arrivo dei promessi sposi: tardano come si fa attendere il momento del passaggio di testimone, avverrà sul battello non a caso chiamato Novecento comincerà a scivolare sull'acqua. 

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Il Mattino