Ci vorrà un po' di tempo per metabolizzare i contenuti specifici delle 576 pagine di catalogo della mostra Caravaggios Herben, Barock in Neapel, aperta fino al 12...
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Ben 14 saggi in catalogo vanno dallo sviluppo urbano della città alla rivolta di Masaniello del 1647, al passaggio di Caravaggio; e si prosegue con la transizione dalla tarda Maniera al Caravaggismo per poi andare ai due grandi protagonisti/rivali emiliani della decorazione barocca, Domenichino e Lanfranco, andando avanti con Jusepe de Ribera, Salvator Rosa e Francesco Solimena; e con i disegni e le nature morte. Molto ci sarebbe da discutere su questa struttura, che poggia su un perno robusto nella parte dedicata alla prima metà del Seicento per indebolirsi sempre più, e addirittura quasi scomparire in quelle successive, scontando in ciò il gap di studi che ancora caratterizza la conoscenza dei percorsi dei molti artisti anche gli stessi scultori e architetti - che si posizionarono a Napoli al di fuori della triade aurea di Mattia Preti, Luca Giordano e Francesco Solimena. Dunque si ricade in una visione per la quale sotto le insegne della koinè di Caravaggio sempre buona a fini di marketing - ricadono anche personalità artistiche come Francesco Solimena, Paolo de Matteis e persino Gennaro Greco e Francesco de Mura (morto nel 1782!). Artisti che con Caravaggio, con la sua tradizione e il suo seguito non ebbero mai alcun rapporto.
Si sa che le categorie storiografiche sono come grandi scatole in cui si tende a mettere molte cose accomunate da caratteri che in una certa fase appaiono unificanti; e si sa che non di rado accade che qualche decennio dopo sia necessario tirare di nuovo tutto fuori e rassettare non solo i caratteri, ma anche la periodizzazione, etc.; tutte cose che, per la verità, in Italia sono anche state pensate e scritte negli ultimi vent'anni anche in grandi mostre in cui non c'era solo il puro accumulo di materiali, per pregevoli che fossero (per la verità a Napoli non è mancato neanche questo tipo di esposizioni). In ciò il telaio della mostra di Wiesbaden non appare esattamente roccioso, a prescindere dalla qualità dei singoli apporti.
La forza della rassegna è invece nelle 212 opere in esposizione, perlopiù dipinti e disegni provenienti da collezioni principalmente mitteleuropee e tedesche, ma anche da non pochi musei e collezioni internazionali. Qui e là ci si imbatte in attribuzioni discutibili ma resta una magnifica parata, che un pubblico non specializzato non ha mai visto in Italia, specie i disegni. Una bella mano l'ha data Capodimonte con ben 20 dipinti, altri 2 provengono dal Museo di San Martino, ma a Wiesbaden non hanno allestito una mostra di giro, e chi può faccia un salto in Germania; ne vale ampiamente la pena. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino