Jo Nesbø, La casa delle tenebre: il thriller è horror

Harry Hole non c'è, sostituito dalla figura di un agente dell'Fbi che spunta dal nulla e resta enigmatico fino alla fine

Jo Nesbø
Scrivere un thriller che è anche un horror, e viceversa, è un po' come raccontare diffusamente un incubo notturno. Una narrazione borderline di cui è vero...

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Scrivere un thriller che è anche un horror, e viceversa, è un po' come raccontare diffusamente un incubo notturno. Una narrazione borderline di cui è vero maestro Stephen King. Ora ci prova un altro famoso autore di bestseller, 55 milioni di copie con un protagonista di 13 romanzi, il detective Harry Hole, uno che di incubi se ne intende, essendo in lotta perenne con l'alcolismo, la depressione e i fantasmi del suo passato. Lo scrittore è il norvegese Jo Nesbø, grande scrutatore di abissi, anche se per vezzo confessa di chiudere gli occhi davanti alle scene splatter dei film di paura.

Destino, colpa, necessità o fatalità. Qual è la vera natura del male? Questa la domanda che Nesbø si pone nel suo primo horror, catapultandoci in un luogo mobile a cavallo tra realtà e fantasia oscura. Il lettore vi precipita con un senso crescente di disagio che lo accompagnerà lungo tutto il percorso. Entriamo dunque anche noi in La casa delle tenebre (Einaudi, pagine 244, euro 18). Harry Hole non c'è, sostituito dalla figura di un agente dell'Fbi che spunta dal nulla e resta enigmatico fino alla fine. Al centro della storia non c'è lui ma un ragazzo di 14 anni, Richard Elauved, che vive con gli zii nella remota cittadina americana di Ballantyne dopo la tragica morte dei genitori in un incendio. Ai compagni di scuola non risulta simpatico, si sente emarginato e bullizzato. Anche per questo, quando l'amico Tom scompare sotto i suoi occhi nessuno crede alla sua versione fantasiosa: lo ha visto l'ultima volta in una cabina telefonica, risucchiato dal ricevitore che lo ha letteralmente divorato. Poi un altro ragazzo scompare, secondo Richard trasformatosi davanti ai suoi occhi in una «magicicada» (una cicala), e allora tutti si convincono che bisogna cavargli fuori la verità con una dichiarazione di colpevolezza. Il ragazzo finisce in una casa di correzione da cui riuscirà a fuggire.

L'unica che lo ascolta senza compatirlo è Karen, l'amica speciale che lo incoraggia a cercare indizi per dimostrare la sua innocenza. Per farlo, Richard deve addentrarsi in una casa abbandonata nella «foresta degli specchi», dove intravede il volto di un uomo malvagio alla finestra. E da quel momento le voci cominciano a tormentarlo...

Raccontare di più guasterebbe la sorpresa. Anche perché questo romanzo è diviso in tre parti, diverse anche temporalmente, e ogni volta si riparte da zero e siamo costretti a ripensare tutto ciò che davamo per scontato. Credevamo di rivivere fino in fondo le atmosfere della «Notte dei morti viventi», ci ritroviamo all'improvviso in un film di David Lynch, finiamo sgomenti nella terza parte in un universo kafkiano dove ci si interroga sul concetto di verità e sulle radici di certi comportamenti devianti. Richard è un ragazzo sensibile e incompreso o è strutturalmente cattivo? Oppure una persona può cambiare a seconda delle sue esperienze? A mano a mano che si procede, spunta prepotente dal racconto il tema del rapporto tra genitori e figli e i traumi profondi che scaturiscono dalle crisi familiari. Ma anche il ruolo centrale che nella vita di ciascuno ha la nostra immaginazione, che sa inventare mondi e creare situazioni salvifiche. In questa storia febbrile e tormentata, che in fondo è un singolare horror di formazione, Nesbø sembra voler rappresentare il percorso giovanile che porta da una chiusura sterile e aggressiva al riconoscimento della necessità di essere riconosciuti e amati. Il nome del protagonista è la chiave del romanzo. Richard Elauved si pronuncia «rich are the loved». Cioè «ricco è colui che è amato». 

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Il Mattino