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Il segreto della storia prodigiosa di Napoli sta nelle sue storie, grandi o piccole, ciascuna dotata di una propria epica. Che avvenga nelle periferie urbane o nella campagna, agli albori del viceregno o nella contemporaneità, che sia frutto della collettività o di un singolo uomo che incarni i desideri delle masse, ogni evento che ha disegnato il profilo della città ha sempre in qualche modo incarnato lo spirito della napoletanità.
Ma che cos'è questa categoria? Esiste realmente o è solo un'etichetta di comodo creata ad arte per circondare di un'aura di riconoscibilità (e vendibilità) qualsiasi prodotto provenga dalla città? Raffaele La Capria avrebbe propeso per questa seconda interpretazione. Noi pensiamo più empiricamente che la risposta non possa che provenire dall'ascolto delle storie, in maniera deduttiva. Una storia esemplificativa e su cui poco il giornalismo si è concentrato, ma che è nota a molti da resoconti e voci passate di bocca in bocca, è quella relativa al grande Chet Baker, giunto a Napoli in due occasioni, la prima delle quali negli anni Sessanta. A un paio d'ore dal concerto gli venne trafugata la tromba. I giornali si affrettarono a parlare della pericolosità e della microdelinquenza napoletana, altri sottolinearono la dipendenza del jazzista dall'eroina e il bisogno di racimolare denaro, culminato nella vendita dello strumento musicale. Altri ancori uscirono fuori con teorie complottiste o spiegazioni più triviali.
La verità è che ciò che realmente accadde non lo si saprà mai. Quello che resta però è l'epica generatasi attorno a un fatto che, qualora si fosse svolto in altre città, avrebbe dato luogo ad aneddoti e forse al più dicerie: mai a una leggenda transitata e modificatasi con il corso del tempo.
I modi in cui la napoletanità opera nel regime letterario hanno molto a che vedere con quello che la critica definisce come «realismo magico». Molti dei capolavori della letteratura italiana scritti da autori napoletani ne risentono o ne sono intimamente influenzati: basti pensare a Malacqua di Nicola Pugliese o a Il porto di Toledo di Anna Maria Ortese. Proprio su quest'ultima si concentra uno dei ritratti più interessanti di L'Uovo di Virgilio - I personaggi, il nuovo libro di Vittorio Del Tufo (sabato 29 in omaggio con «Il Mattino»), che parte dal racconto più celebre della scrittrice intitolato Un paio di occhiali e culmina con il ricordo della querelle seguita alla pubblicazione di Il mare non bagna Napoli.
Forse è proprio nel rapporto con il reale che può chiarirsi meglio questo incomprensibile concetto di «napoletanità». Il rifiuto o l'eccesso, la fuga o la ricezione: ma è sempre il rapporto con la realtà, la sua realtà così strabordante e tracimante, a forgiare i suoi protagonisti e a condizionarne le scelte. Siano esse quelle di Luca Giordano, denominato Luca «fa' presto» per l'abilità nel portare a termine commissioni su commissioni dovute all'impellente necessità di denaro, o quelle di Roberto De Simone, travolto dalla necessità di indagare nel retroterra magico, paganeggiante e arcaico della città e della provincia, utilizzando lo strumento della musica e unendosi ad altri interpreti nella Nuova Compagnia di Canto Popolare. L'epica parte dalla realtà e dagli «obblighi» a cui essa induce. Frugarne i risvolti e tentare di comprenderne le ragioni è l'unico modo per raccontare in maniera critica il presente o il passato di Napoli e non lasciarsi piegare alle logiche di chi si limiti semplicemente a sfruttare un marchio. È quello che fa questo libro, per la collana «Ieri oggi domani», tratto dall'inesauribile serie di racconti di «L'Uovo di Virgilio», la pagina domenicale da otto anni firmata da Vittorio Del Tufo con le foto di Sergio Siano, un lungo viaggio nei miti e nelle leggende (di ieri e di oggi) di Napoli, nel cuore magico della città, nelle sue storie segrete o dimenticate.
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