«La donna del boss», Matilde Andolfo racconta la prima pentita casalese

«La donna del boss», Matilde Andolfo racconta la prima pentita casalese
A raccontare la storia della prima pentita della camorra dei casalesi è Matilde Andolfo, giornalista televisiva campana e già curatrice del diario segreto di...

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A raccontare la storia della prima pentita della camorra dei casalesi è Matilde Andolfo, giornalista televisiva campana e già curatrice del diario segreto di Annalisa Durante vittima innocente della criminalità, in La donna del boss (Il Quaderno, pagine 192, euro 15). La protagonista di questa vicenda, raccontata con ricostruzioni narrative e basata su fatti realmente accaduti, è Anna Carrino, alias «la Commara», storica compagna di uno dei capi più spietati dei casalesi, Francesco Bidognetti, quel «Cicciotto e mezzanotte» al cui fianco è stata per decenni, fin da quando si erano conosciuti. Lei aveva 13 anni, passati per lo più in collegio, lui più del doppio. Le ha fatto da padrino alla prima comunione e subito l'ha incantata. 

«Bello e dannato, Cicciotto sembra uscito da un film: auto fuori serie, giubbotto di pelle e sigaretta. A lei non importava che lui, oltre a essere l'amante della madre, avesse moglie e figli a carico. L'orgoglio e la fierezza di essere la femmina del boss è un sentimento inebriante e potente che Anna si porterà dentro per moltissimo tempo» scrive la Andolfo, che sottolinea come l'incantesimo si spezzi solo dopo trent'anni, quando Carrino abbandona il compagno, in carcere dal 93, fugge da Casal di Principe e inizia un percorso di collaborazione con la giustizia grazie al pm Antonello Ardituro.

Alla Andolfo, incontrata in una località segreta, Carrino confida i motivi che l'hanno portata a cambiare vita e a rinunciare a tutto, anche ai suoi tre figli. Grazie al pentimento della donna gli investigatori potranno scoprire molti crimini compiuti nel corso dei decenni dai casalesi, processando oltre 70 persone, tra cui anche colletti bianchi e parenti stretti del boss. Ma soprattutto Carrino riacquista la sua indipendenza di donna libera non più costretta a far parte di un sistema, e per anni «vittima di un femminicidio morale e identitario» scrive padre Antonio Loffredo nella postfazione. 

«Sono tornata ad appartenere solo a me» dice alla giornalista che interpreta questo riscatto come la possibilità del riscatto per ogni donna che subisce una violenza, in questo caso nella forma della manipolazione e del condizionamento. Tra le storie raccontate una delle più terribili è quella che vede inconsapevole protagonista, come mandante di morte, la Carrino. È il 2002, Cicciotto è in carcere, e il loro figlio più piccolo, Nanà, torna a casa in lacrime. Alla madre dice che il figlio del postino ha tentato di investirlo con la macchina facendolo cadere dal motorino. Lei «chiama Gigino o drink, soprannome dovuto al debole per gli alcolici, uomo fidato del boss. Anna vuole sapere cos'è successo e vuole capire perché quel ragazzo di vent'anni ce l'ha con il suo bambino di appena tredici anni». Il giorno dopo, a Villa Literno, Gigino o drink affianca la macchina del ventenne che ha osato spaventare il figlio del capo e «spara tredici colpi di pistola nel petto del giovane». La Carrino viene a sapere dai giornali dell'omicidio e litigherà con l'assassino sostenendo che non doveva finire così la faccenda, ma Gigino o drink risponde che invece così doveva essere punito l'affronto, e la magistratura dopo 11 anni condanna in primo grado lei come mandante a 16 anni e 8 mesi di reclusione. Qualche anno dopo Nanà è arrestato per aver partecipato all'attentato in cui doveva morire la zia, la sorella di Anna, per vendetta.

Oggi la Carrino è nel programma di protezione dei testimoni, vive lontano da Casale e ha ancora dei processi a suo carico da affrontare. Fiera e coraggiosa «continua a lanciare appelli e invitare la sua gente a pentirsi, rinnegando il mondo di cui faceva parte e distruggendo il mito della fedeltà della donna del boss». Non tutti le credono, naturalmente. 

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Il Mattino