«Per me la musica è preghiera. Non riesco a concepirla se non in connessione con la Chiesa. Anche per questo insegno Gospel in America». Dean Bowman non fa...
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Spettatori/ascoltatori inevitabilmente rapiti da ciò che un fine esperto come Vinyl Gianpy ha opportunamente definito «un flusso ininterrotto di coscienza che si trasforma in jazz, in blues, in spiritual, in rock». Un melting pot, ancora, dall’andamento funk, ballad soul, con momenti swing ed elementi rock che «diventa musica» mescolando «le raffinatezze del canto difonico, l’emissione contemporanea di due suoni che appartiene alla tradizione vocale tibetana, più che a quella afroamericana». Un flusso infine che, come nei versi di una canzone del repertorio del concerto napoletano di Dean Bowman - evento speciale e irripetibile - fa davvero ascoltare, a tratti, il canto struggente degli angeli.
Ed è una dimensione teatrale intima, molto interiore e raccolta quella allora creata in scena da questo gigante buono che non si risparmia, visibilmente stanco e affiancato, a Napoli, da altri due valenti artisti: il tastierista Lorenzo Natale, talentuoso special guest per la prima volta insieme per l’occasione con Giò Cristiano, chitarrista napoletano, classe ’79, che dal 2010 è in duo con Dean Bowman in un percorso sperimentale alle radici della black music, approdato nell’album elettrico ed elettrizzante «Voodoo Miles» (2015) che ha visto la partecipazione anche del grande sassofonista Daniele Sepe ed è stato non a caso definito dal critico del «Mattino» Federico Vacalebre «un elogio della great black music più viscerale e innovativa, più torrida e carnale», «una sorta di antidoto al jazzettino patinato e senza cuore nè sesso spacciato nel nightclubbing e nei talent show per musica nera».
Ma stavolta, il viaggio musicale è declinato in chiave acustica, con una full immersion che per quasi due ore proietta il pubblico attento nella vocalità black gospel più vera, profonda, screziata di dolore e malinconia, trascendenza e carnalità, amore e nostalgia, memoria e sogno: tra gioco dell’improvvisazione, rigore assoluto della tecnica strumentale e vocale e forza dirompente di pezzi propri e note cover, rivisitate dall’interpretazione empatica del trio. «Il progetto nasce come un’idea ‘altra’ rispetto al disco, che era un lavoro incentrato sulla musica elettrica, fortemente ispirato al lavoro di Miles Davis e Jimi Hendrix. Questa volta, invece, vogliamo andare alle origini della musica Blues e Gospel, che ispira così tanto il nostro modo di fare canzoni» dice Giò Cristiano, che ha scelto l’AvaNposto Numero Zero grazie all’intesa con la sensibilità del suo Direttore artistico, Egidio Carbone Lucifero: «È stato l’unico posto a Napoli che ha capito che c’era in giro qualcosa di interessante e ci ha creduto», aggiunge Cristiano, musicista in costante ricerca di nuovi percorsi e territori che ha lavorato al fianco di artisti del calibro di Reggie Washington ed è proiettato ad esplorare differenti regioni sonore, immergendosi con naturalezza e notevole tecnica nelle sonorità del blues gospel, della tradizione popolare mediterranea e del jazz contemporaneo, ma con una cifra personale lontana da manierismi e stilemi stereotipati.
Con questo evento, ripreso per una futura produzione di AvaNposto, il teatro sorto da un anno nel cuore della città e del quartiere universitario si candida così a diventare luogo d’elezione del jazz partenopeo, con una rassegna specifica dedicata ad un genere che trova sempre meno spazio, pur avendo tanti appassionati (e una disciplina specifica di insegnamento nel Conservatorio San Pietro a Majella, con giovani talenti napoletani emergenti). Anche per questo, in collaborazione con l’etichetta Aspro Cuore Recording fondata dallo stesso Cristiano e con sede a Grumo Nevano, questo piccolo cantiere underground di idee, esperienze e progetti ospiterà, a partire da gennaio, anche corsi di pianoforte e chitarra.
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Il Mattino