Masullo, un libro sull'arte della felicità

Aldo Masullo
Che lo scopo della filosofia, prima che la conoscenza, fosse la felicità, lo diceva Aristotele più di duemila anni fa e ne era consapevole anche Aldo Masullo che in...

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Che lo scopo della filosofia, prima che la conoscenza, fosse la felicità, lo diceva Aristotele più di duemila anni fa e ne era consapevole anche Aldo Masullo che in un incontro pubblico del 2006 prima di arrivare a parlare della felicità sottolineò cosa fosse il suo opposto: «La nostra esperienza è intrinsecamente dolore, se per dolore si intende l'atto del vivere. L'atto del vivere è sempre un urto, uno scontro, un'opposizione tra la nostra forza vitale e qualcosa contro cui ci scontriamo, e se questo non avvenisse non ci sarebbe la vita, non ci sarebbe la nostra quotidiana vicenda. Dunque, noi dobbiamo dire che l'esperienza è già intrinsecamente nella sua origine "paschein", che è vivere e patire al tempo stesso».

Una riflessione dotta iniziata, come nello stile di un pensatore convinto che cultura alta e bassa convivano in ogni disciplina, con una citazione di tutt'altro genere. Masullo, dopo i saluti iniziali rivolti come altra sua abitudine al pubblico presente come se fosse un insieme di individui singoli e non una massa, aveva riferito del dialogo filosofico sul dolore intrattenuto con il tassista che lo portava all'incontro. Si chiamava Abramo e in quello scambio di battute «rivelò nella sua umiltà culturale una sensibilità umana alla quale occorre portare il massimo rispetto».

Alla fine della conferenza il cambio di prospettiva. Il dolore, che secondo Hegel «è privilegio degli esseri più elevati», può, in una metamorfosi di senso stupefacente, riscattarsi e diventare strumento di felicità nel momento in cui si trasforma in «una forza e, come una tempesta che passando attraverso le canne di un organo produce suoni armonici, fa poesia». Con questa visione «il dolore non è più rottura della serenità dell'equilibrio, ma ciò da cui la serenità dell'equilibrio nasce».

Il ragionamento fu svolto in una delle sei conferenze tenute da Masullo dal 2006 al 2011 in occasione degli incontri per la rassegna «L'arte della felicità», ora raccolti in un volume con il medesimo titolo a cura di Francesca Mauro e Luciano Stella (Colonnese, pagine 212, euro 12). Inutile dire che Masullo non ha mai offerto formulette banali per spiegare cosa fosse la felicità. Ha offerto spunti. Uno dei modi per sentirsi felici è uscire dall'isolamento e trovare l'amore, è comportarsi secondo il principio opposto all'indifferenza, è costruire l'intimità con l'altro che significa «essere pietosi, aperti, capaci di guardare, capaci di sentire, insomma capaci di soffrire insieme con gli altri nel senso di patire la vita, viverla con quella stessa intensità e quella stessa direzione verso il futuro con cui la vivo io. Questa è l'intimità».

In altre occasioni si è soffermato sulla felicità dell'amore, della libertà, dell'eros, del desiderio, non sottraendosi a confrontarsi su temi più ampi come il dovere, il nichilismo, il fondamentalismo, la paura di vivere, la depressione, il potere, il bene e il male, il mito di Platone che spiega il rapporto tra me e l'altro, il tempo che nel futuro è più reale che nel passato, l'importanza di insegnare ai giovani il valore dell'umanità vedendo nell'altro sempre un proprio alter-ego, «un Altro, non altro». Questioni dalle quali è difficile trarre una conclusione che metta tutti d'accordo su come conquistare una volta per tutte l'eudaimonìa, la felicità intesa come scopo della vita, anche se Masullo ne suggerisce una prendendo spunto dalle conclusioni esposte dal tassista: «Aveva ragione Abramo quando alla fine mi disse: "Ma il dolore in fondo nasce dal fatto che due persone litigano". Aveva ragione, perché, se non ci fosse la relazione, con gli altri o con il mondo, non ci sarebbe il dolore e da qui possibilità di felicità».
 

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Il Mattino