L’attesa monografia su Gian Paolo Dulbecco, ultimo maestro della Metafisica vivente (dipinge nel suo studio a Monza) è stata realizzata dal critico e storico...
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Quella di Dulbecco appare immediatamente quale pittura meditata, raccolta, spirituale. Anche il formato contenuto delle opere, in massima parte ad olio su tavola, che pare riportarci alla magia misterica delle icone della spiritualità orientale bizantina, ci orienta verso una confessione dell’animo, quasi una preghiera, un sentimento sospeso sul nulla. Continua in proposito l’autore: «Un po’ come può essere accaduto in età alessandrina, allorquando si percepiva di un mondo concluso, ma non si riusciva ancora ad intravedere qualche traccia di una diversa civiltà. Di qui nasce il senso più compiuto di quel malessere esistenziale che potremmo chiamare melencholia, l’ombra della sera dell’intera sperimentazione creativa di Gian Paolo Dulbecco. Tuttavia, per quanto bloccati nella vicenda storica dell’attuale, l’universo richiede il nominativo del responsabile dell’utopia, capace, magari, non di reinventare un mondo, ma di ricomporre plausibilmente i frammenti dispersi di quello appena frantumato, riedificando una casa di cui sia rimasta conservata l’architrave. Così, l’investigatore della memoria si pone in cammino alla ricerca di ogni elemento utile a questa ricostruzione dell’universo, scrutando soprattutto l’invisibile. Accanto ad immagini familiari, trovano posto archetipi e paradigmi della simbologia, tra storia (le Atlantidi, gli Assedi) e mito (i Labirinti, i voli di Icaro), conseguendo così un raffinato effetto di spaesamento che racconta il non dicibile evocando così il mistero. Gian Paolo Dulbecco dipinge, dunque, il pensiero ed insegna a pensare e continua a rappresentare l’immagine nel suo simbolo, addizionando astrazione alla rivelazione. Si ha, a volte, la sensazione che l’artista visiti lo spazio alla ricerca di elementi di ispirazione e, dopo aver identificato quello paradigmatico, vi costruisca intorno un teoria spirituale e narrativa, fatta di altre figure, entità, tracce, frammenti apparentemente dissonanti. Intorno al paradigma archetipo nasce spesso un modello di inventariazione creativa: serie di dipinti analoghi, con variazioni formali che, alla fine, fanno comprendere come la tessitura spirituale dello spazio possa sensibilmente variare a seguito di un’apparentemente minima mutazione del segno o della cromia».
L’impressione dinanzi al “repertorio visivo” dell’immaginario di Gian Paolo Dulbecco pare quella che si poté vivere nel 1897 dinanzi a “La zingara addormentata” di Henri Rousseau: la magia è innanzi al nostro sguardo, l’irrealtà domina la nostra consistenza e ci trascina in un mondo in cui non potremo mai riuscire a metabolizzare l’essenza dei sogni. Per questo, l’intero volume diventa un viaggio nell’altro se stesso che, senza fissa dimora, visita i Primitivi italiani, le stanze della Commedia dell’Arte, la luminosità tanto atmosferica quanto altrettanto irreale dei Fiamminghi. Non potrebbe su tutto non dominare la dimensione del sogno, come fosse un nuovo espediente dantesco per uscire dal reale e vagare nelle pieghe dell’inconscio, finalmente facendo i conti con la memoria che, anche inconsciamente, condiziona sentimenti ed agire. In questo, Dulbecco è diventato parte integrante dell’animo della pittura. Molti artisti sono presenti al suo tavolo da gioco, ma non per questo li cita anche quando li accoglie spalancandogli le porte. Non sfugge a Dulbecco, infine, al pari di come non poté sfuggire a Picasso, la citazione di Velazquez, in quanto la restituzione del reale, specchiato nel suo spettro, è l’ufficio principe di chi possiede le chiavi per aprire luoghi inaccessibili, proprio in quanto evidenti alla vita. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino