Napoli, il drago nascosto nella chiesa di San Giorgio Maggiore: un viaggio lungo secoli

Per vedere l’affresco non serve altro che chiedere del custode

Il san Giorgio che uccide il drago di Aniello Falcone
A Napoli, si sa, l’impossibile diventa possibile. Ed è proprio nel cuore della città, a metà via Duomo, dove la strada incrocia l’inizio di...

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A Napoli, si sa, l’impossibile diventa possibile. Ed è proprio nel cuore della città, a metà via Duomo, dove la strada incrocia l’inizio di Forcella, che si può intraprendere un cammino “impossibile”. Un percorso lungo millenni, un vero viaggio attraverso i secoli alla scoperta di un mistero tutto napoletano.

Siamo in piazza Crocelle ai Mannesi e ci troviamo nella chiesa di San Giorgio Maggiore.

Entrando nell’edificio di culto, tra i più antichi di Napoli, varcata la soglia incastonata nella facciata Ottocentesca, già a pochi passi dal portone principale basta girarsi verso l’entrata per rendersi conto di trovarsi improvvisamente nel IV secolo. L’ingresso, infatti, è stata ricavato nell’abside della antica chiesa paleocristiana voluta dal vescovo Severo grazie alle nuove libertà religiose concesse dall’imperatore Costantino.

Dall’ingresso alla navata, in pochi gradini, passano circa dodici secoli e dalla antica basilica paleocristiana si giunge alla chiesa barocca. L’edificio nel corso del tempo ha subito diverse ristrutturazioni e proprio nel Seicento venne invertito il suo orientamento ad opera del grande Cosimo Fanzago. Sul finire dell’Ottocento, invece, venne completato l'esterno del già ricordato ingresso principale così come pensato secoli prima sempre dallo stesso architetto.

E se poi nella chiesa è nascosto un “drago”, il viaggio assume i contorni di una esperienza fantastica da vivere almeno una volta nella vita. I lavori più interessanti, infatti, sono stati quelli effettuati nel secolo scorso, agli inizi degli anni Novanta, i quali hanno riportato alla luce un “drago” dimenticato dalla storia. Ma procediamo con ordine.

Incamminandosi verso l’altare, superando due sculture di Angelo Viva, allievo del Sanmartino autore del "Cristo velato", si giunge nel coro della chiesa. Qui, dove ora è collocata la tela di Alessio D’Elia “San Giorgio che uccide il drago”, gli addetti ai lavori trovarono un precedente affresco databile alla fine della prima metà del Seicento e attribuito ad Aniello Falcone avente lo stesso tema del dipinto che per secoli lo ha coperto.

Oggi per vedere l’affresco non serve altro che chiedere del custode Andrea, memoria storica della chiesa, il quale accompagnerà – a titolo gratuito; la sua è una missione, una passione che porta avanti da anni – chiunque davanti all’opera del D’Elia e, spostando il quadro che poggia su di un telaio mobile, farà rivivere attraverso il suo racconto quel san Giorgio che uccide il drago del Falcone.

Ma perché l’affresco è stato “dimenticato”? Come mai è stato coperto? Diverse sono le ipotesi sul perché l’opera, dalla grande potenza emotiva, sia stata celata. Una di queste la vuole vittima di una damnatio memoriae nei confronti del suo autore.

Aniello Falcone, infatti, fu l’ideatore della “Compagnia della Morte”, un gruppo nato per vendicare l’omicidio di un sodale del pittore ad opera di uno spagnolo e che si poneva come scopo l’uccisione di tutti gli spagnoli a Napoli. La città, però, era un dominio della Corona di Spagna e di quello stesso gruppo, di quella stessa “compagnia”, faceva parte anche Tommaso Aniello d’Amalfi, passato alla storia come Masaniello, capopopolo protagonista di una celebre rivolta antispagnola.

Pacificata la rivoluzione, gli spagnoli decisero di cancellare l’opera del Falcone chiamando il D’Elia a coprirla; quest’ultimo, però, affascinato dall’affresco avrebbe cercato di salvare l’opera facendola coprire e mettendo sopra il suo dipinto.

Una storia che si confonde con la leggenda e che, dopo secoli, è tornata visibile con la pienezza della sua forza evocatrice: quella stessa forza impattante che le ha permesso di sopravvivere.

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Il Mattino