Il suo ultimo libro “Nostalgia” (Feltrinelli 2016) è la storia di un ritorno a Napoli, la scelta di recuperare un’identità perduta in una...
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Napoli è ovunque presente anche nella casa romana vicino San Pietro dove nella notte di ieri è scomparso, all’età di 89 anni: con libri, fotografie, l’impossibilità di rimuovere una città cui sono affiadati pensieri e contraddizioni riversati nella scrittura. È la Napoli lacerata dalla guerra fredda e alle prese con un partito comunista ancora legato all’identià stalinista di “Mistero napoletano” (Einaudi 1995, poi nel 2014 riedito da Feltrinelli), indagine in forma di diario sulle ragioni del suicidio della giornalista culturale de “l’Unità” e critico musicale Francesca Spada, che gli valse il Premio Viareggio 1996 ed è probabilmente il suo capolavoro. Parte di “Rosso Napoli. Trilogia dei ritorni e degli addii” (Bur 2009) che lo scrittore definì «un unico fluviale romanzo basato su tre storie di donne. Tutte belle. Tutte dannate. Tutte specchio di quella Napoli che forgiò i loro rispettivi destini a immagine e somiglianza del proprio», in un sessantennio di cui racconta lo smantellamento dell’Ilva di Bagnoli – “La dismissione” (Rizzoli 2002, ristampato da Feltrinelli nel 2014) – che seguì da vicino, tornando appositamente a Napoli – e l’anima perduta della città-ossessione (“Napoli Ferrovia”, Feltrinelli 2007, finalista al premio Strega 2008). Romanzi che partono da storie individuali, immaginate nello studio di casa per poi passare alla fase dell’accurata documentazione, assicurando coerenza e credibilità a fatti e personaggi. La scrittura alla vecchia maniera, rigorosamente a mano, con la stilografica su carta – e poi trascritta sul computer, solo alla fine - ma senza in alcun modo assomigliare al cliché dello scrittore maledetto che spende notti insonni a riversare fiumi di parole. Musica jazz, niente (più) fumo, mentre cercava il giusto equilibrio tra la realtà oggettiva e la vita immaginata, tra il saggio e la storia. Di pomeriggio, preferibilmente.
Lontanissimo dall’autocelebrazione della memoria, Rea ha continuamente ripensato la propria terra con la visuale nitida della distanza, e i suoi romanzi civili hanno insito il sentimento del dolore per il paesaggio brutalizzato dell’infanzia e della giovinezza, che non esiste più.
Tra le sue opere ricordiamo “Il Po si racconta” (Il Saggiatore 1990), “L’ultima lezione. La solitudine di Federico Caffè, scomparso e mai più ritrovato” (Einaudi, 1992), sulla scomparsa dell’economista Federico Caffè, “Fuochi fiammanti a un’hora di notte” (Bur) con cui nel 1999 vinse il Premio Campiello, e gli ultimi lavori, tutti pubblicati da Feltrinelli: “La fabbrica dell’obbedienza. Il lato oscuro e complice degli italiani” (2011) seguito dal libro di fotografie “1960. Io reporter” (2012) e dalla ristampa de “La dismissione” (2014), “Il sorriso di don Giovanni” (2014), “Il caso Piegari. Attualità di una vecchia sconfitta” (2014) e infine “Nostalgia” (2016). Da sempre uomo di sinistra, nel 2014 si era candidato alle Europee con la lista Tsipras.
«Mi illudo di aver estinto un debito contratto con me stesso tanto tempo fa, nella convinzione che non si può amare né una città né un amico – nessuno – senza essere poi disposti a mettere in gioco noi stessi in nome della loro innocenza», scrive in “Mistero Napoletano”. Ed è con queste parole che vogliamo ricordarlo.
Rea lascia due figli, numerosi nipoti e pronipoti e un’ex moglie avvocato.
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Il Mattino