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Gli intellettuali su questo sono praticamente tutti d’accordo: i social network sono il contrario dell’arte. E se non fosse davvero così? Se non fosse, piuttosto, un pregiudizio da polverosi depositari del primato culturale, da critici superciliosi, o da chi non vuole guardare in faccia alla realtà? Che su questo è piuttosto chiara: pochissimi leggono e vanno al teatro, molti, moltissimi stanno su Instagram e Facebook. Il presupposto del volume “La social writing. La scrittura al tempo del web” (disponibile in versione cartacea e Kindle su Amazon) di Emma Campili e Donatella Furino, registe e drammaturghe, è che chi nega il valore dell’universo social sta negando l’umanità. E dunque l’arte, che delle gesta umane è la chiave di lettura per antonomasia. Nasce così la social writing, un nuovo genere, ovvero una nuova, possibile struttura drammaturgica per l’audiovisivo.
In effetti tra i social e la scrittura d’arte le affinità ci sono: il racconto, la presenza di personaggi, l’arco temporale di ciò di cui si racconta. Però attenzione, scrivono le autrici, “siamo dunque tutti artisti sui social? Certo che no”. Eppure le fortune di influencer e creator, le ribalte casuali di “nuovi mostri” suggeriscono che le possibilità di affermazione sul generoso palco del web sono tante.
Il volume sciorina le sue tesi dividendosi tra una lunga premessa filosofica e una dimostrazione pratica della teoria. La terza parte è ricca di spunti sulle possibili declinazioni di questi presupposti i cui corollari sono da sfruttare, ad esempio, per le social serie. Le autrici hanno un precedente: tra il 2020 e il 2021 proposero sui loro canali social degli estratti di “Filumena Marturano”, collocandoli nell’attualità. La nuova ma eterna Filumena – interpretata dalla Furino - non era più, o non solo, l’eroina eduardiana ma una donna comune, calata nei nostri tempi, intenta a declamare con rinnovata intensità il monologo della Madonna delle rose ma in una cucina contemporanea, come si confidasse con le amiche e le vicine, per poi dopo, magari, realizzare una story di Instagram in cui a Domenico Soriano non serve più apparire avendo già avuta debita rappresentazione nel racconto della sua amata-odiata. Il risultato fu clamoroso: decine di migliaia di visualizzazioni, il metodo funzionava. Infatti le autrici si chiedono: “Se la social writing scrive postulando una storia come esistita ed esistente, quale migliore materia letteraria che le grandi storie già scritte?”. Trame perfette per “costruire una struttura che sappia “presentizzare” opere entrate nell’immaginario comune, rendendole nuovamente attive come pungolo culturale di riflessione e perché no di intrattenimento” e ancora di divulgazione presso le ultime generazioni che, ripetiamo, per l’odore delle tavole non hanno più passione, più inclini al fascino di tastiere e schermi.
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