“Pay me to do nothing”, l'esordio di Karmen Farina: una sdraio sul marciapiede e un cartello

Il rapper napoletano ha pubblicato la sua “Guida per aspiranti non lavoratori”

Karmen Farina
Pensare alla propria vita senza alcun vincolo sociale, vivere come se le responsabilità, i problemi, gli obblighi morali non frenassero le nostre azioni, guadagnando soldi...

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Pensare alla propria vita senza alcun vincolo sociale, vivere come se le responsabilità, i problemi, gli obblighi morali non frenassero le nostre azioni, guadagnando soldi in proprio, senza necessariamente barcamenarsi nel lavoro: sarebbe mai possibile? “Pay me to do nothing – Guida per aspiranti non lavoratori” (Momo edizioni) è l’esordio letterario del napoletano trentaquattrenne, rapper, artista e convinto non-lavoratore Karmen Farina, ispirato alla realtà.

L’autore lo scorso inverno si è piazzato su una sdraio in via del Corso a Roma, sdraiandosi con la radio accesa e fissando al suo fianco un cartello, che recitava testualmente il titolo del suo libro, “Pay me to do nothing”. Il risultato più imprevisto? Il vivo interesse dei passanti, che, lasciando delle monete nel cappello, si raggruppavano in piccole folle intente a osservare Farina che non faceva assolutamente nulla. Da lì, il ragazzo è stato invitato a partecipare a diversi programmi televisivi, da Italiasì a Forum, per raccontare la sua “performance”. Il libro suggerisse agli altri, attraverso episodi inventati o vissuti dall’autore, metodi per guadagnare senza lavorare.

Come nasce l’idea del libro?
«Come spiego anche nei primi capitoli, alla base c’è un’esigenza creativa che mi porta a voler realizzare progetti che siano frutto del mio ingegno. Un manuale che racchiudesse tutte le idee che ho immaginato per non lavorare (idee, trucchi, svolte) rappresentava il perfetto coronamento del mio estro creativo. È stato mio cugino a propormi di scrivere una guida al principio, così ho cominciato a buttare giù degli eventi del mio passato e poi ho iniziato a prenderci gusto e a romanzare un po’ tutto».

Quanto è vero di quello che c’è scritto?
«La maggior parte del racconto è autobiografico, legato alle mie esperienze personali, altre parti sono di fantasia, forse. Ci sono anche dei capitoli a limite con la legge. Insomma, lascio libera interpretazione al lettore. La storia dello street jukebox è vera, ad esempio: io ed un mio amico in piazza Trilussa con una radio che chiedevamo un’offerta libera, ad ogni donazione corrispondeva una canzone che era il donatore a scegliere. In ogni caso, mi piace pensare che il libro testimoni il mio modo di pensare e di vivere la vita. Chi ha deciso che bisogna necessariamente seguire un percorso prestabilito che cominci con lo studio per culminare nel lavoro? Perché non è possibile vivere in un modo diverso? Per me tutti dovremmo vivere come vogliamo e in questo libro racconto metodi alternativi per trascorrere un’esistenza felice, scevra dai vincoli, in cui dedicarsi realmente a ciò che ci piace, senza perdere tempo a fare ciò che non ci piace».

Oggi lavori?


«Percepisco il reddito di cittadinanza, che mi permettere di dedicarmi alle mie passioni, per cui altrimenti non avrei tempo, e cerco di trasformare il mio hobby per la scrittura in un lavoro, sono alle prese con un diario che dovrebbe tramutarsi in un racconto fanta-scientifico. Nel libro racconto dei miei freestyle in metropolitana a Milano accompagnato da un gruppo di amici, questo è un lavoro alternativo che faccio ancora due volte alla settimana, partendo da Genova, dove vivo». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino