Capri, Premio Malaparte a Labatut: «Non cerco la purezza, amo il lavoro sporco»

Lo scrittore cileno in Italia con il suo ultimo libro Maniac

Labatut
A Capri per ritirare alle 11 alla certosa di San Giacomo il Premio Malaparte, lo scrittore cileno (naturalizzato) Benjamìn Labatut è in Italia con il suo ultimo...

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A Capri per ritirare alle 11 alla certosa di San Giacomo il Premio Malaparte, lo scrittore cileno (naturalizzato) Benjamìn Labatut è in Italia con il suo ultimo libro Maniac, ideale seguito di Quando abbiamo smesso di capire il mondo, pubblicati entrambi da Adelphi. Autore dalla voce unica, in grado di raccontare le vite degli scienziati e dei grandi personaggi della storia tenendosi sul filo di una diabolica ibridazione di generi, tra l'epica e la biografia minuta, Labatut inizia dall'isola azzurra il suo tour di presentazioni in Europa. Seconda tappa domani a Napoli alle 18 a palazzo Zapata come anteprima del «Campania libri festival».

In esergo al libro c'è la citazione non di uno scienziato ma di una mistica del 1200, Hadewijch di Brabante, perché Labatut?
«Sono uno scrittore, non un divulgatore. Della scienza, così come della natura, mi interessano gli aspetti contraddittori. La visione della mistica è molto emblematica. Le appare una donna orrenda e la mistica le dice: "Da tempo sei causa per me di dolore e afflizione. Sei la facoltà razionale della mia anima. Questa è l'interpretazione del libro che sento più vicina alla verità. L'irrazionalità della ragione è ciò che più mi affascina. Uso la vita degli scienziati per afferrare le contraddizioni più profonde non solo dell'essere umano ma dell'universo e dei poli opposti sui quali è costruito. La più alta forma di verità è fondata sulla contraddizione».

È vero che lei ama le teorie senza fondamento?
«Tutte quelle che non hanno prove a loro sostegno. Per esempio, amo la convinzione di William Burroughs secondo cui la lingua che portiamo dentro noi è un altro essere, è una forma aliena».

La scienza è tornata al centro della letteratura?
«Lo è sempre stata. A rendere i libri di Lovecraft terribili è l'utilizzo del linguaggio della scienza, le sue fantasie sono scientificamente raccontate e dimostrate. C'è un legame antico tra scienza e letteratura. Il mio non è un nuovo modo di fare letteratura».

Il suo modo di fare letteratura, tra saggio e romanzo, rimane unico. Come è arrivato a questo stile?
«Linguaggio e forma sono la vera voce dello scrittore. Non c'entra l'oggetto. Contano, e lo dico in italiano, il ritmo e la bellezza delle parole. Bolaño, che ammiro molto, diceva che tutto è forma e struttura e lui è riuscito a uccidere il realismo magico, che io detesto, e a infilare la poesia nella prosa. La forma che io cerco non è la purezza ma quella bastarda. Il mio è un lavoro sporco».

Per questo in alcune pagine fa parlare direttamente il computer?
«È stato l'aspetto più difficile, il mio agente mi aveva sconsigliato di eliminarle, ma per me sono importanti. Questo libro racconta la nascita di un pensiero senza corpo e poi basta con i lettori che si aspettano che tutto sia al loro posto nei libri, che tutto sia comprensibile. Io ambisco a che i miei scritti abbiano anche un aspetto fallace, è spesso con questo che si può afferrare il senso della realtà».

La intriga l'Intelligenza artificiale?
«Questa IA di cui tutti parlano esiste già in letteratura ed è il narratore».

Perché odia il realismo magico?
«È un virus molto contagioso. Io amo il realismo e amo la magia, non il loro connubio in cui c'è molto infantilismo. Tutti vorremmo avere un anziano nonno saggio, in verità il nonno della maggior parte di noi è un ubriacone capace, tutt'al più, di magiche flatulenze. Uno scrittore deve essere capace di vedere la magia che già c'è, non dovrebbe inventarla o usarla per imbellire la realtà».

Si considera un outsider della letteratura?


«La letteratura è l'arte, oscura, dell'outsider. Mi considero un outsider e basta. Sto fuori da tutto. Sono uno straniero anche della mia lingua madre, lo spagnolo, che ho difficoltà a definire madre perché ho avuto un brutto rapporto con mia madre. Ho smesso di parlare spagnolo a 6 anni e ho ricominciato a 14 in un paese, il Cile, in cui la gente mi chiedeva perché avessi un accento straniero e se fossi argentino, che per i cileni è un insulto ma a me faceva piacere. La letteratura non dovrebbe mai essere mainstream e mantenere sempre le sue caratteristiche di stranezza e oscurità». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino