Per la serata finale dell'edizione che passerà alla storia come quella segnata dalla pandemia da Covid-19, il premio Strega torna alle origini: oggi nello spazio del...
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La giuria dei 400 Amici della domenica dovrà scegliere il successore di Antonio Scurati, vincitore l'anno scorso con M. Il figlio del secolo, tra Sandro Veronesi, favorito della vigilia con Il colibrì (La nave di Teseo), primo alla semifinale e nel 2006 con Caos calmo, Gianrico Carofiglio con La misura del tempo e Valeria Parrella con Almarina (entrambi editi da Einaudi, appaiati anche al secondo posto nella selezione e in cinquina rispettivamente nel 2012 con Il silenzio dell'onda e nel 2005 con Per grazia ricevuta: ad Almarina è già andato il voto Strega Off), Gian Arturo Ferrari, fino a ieri dominus delle faccende editoriali nazionali e qui all'esordio narrativo con Ragazzo italiano (Feltrinelli), Daniele Mencarelli che con Tutto chiede salvezza (Mondadori) ha già vinto lo Strega giovani e quindi parte con il vantaggio di un voto, e Jonathan Bazzi con Febbre (Fandango), cioè il sesto promosso dal regolamento.
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Solimine, certamente questa edizione assume un significato simbolico ma poi al dunque il Premio Strega rimane la competizione dominata dai pacchetti di voti governati dalle case editrici e dagli umori di una particolare società letteraria.
«No, non è così. Se non bastasse a confutare questa cattiva fama la possibilità che abbiamo dato di attribuire più preferenze, c'è quest'anno la presenza di una piccola casa editrice in base a una norma del regolamento a rendere assolutamente contendibile il premio. Da tempo sullo Strega non c'è questo rischio di voto di scambio e mi pare che le scelte compiute nell'edizione 2020 esaltino la qualità delle opere, più che l'appartenenza editoriale».
Sì, però, Sandro Veronesi è il vincitore annunciato.
«Lei dice? Sicuramente Il colibri è un romanzo di qualità ma anche gli altri 5 hanno un valore letterario alto, tanto da non escludere sorprese».
Quindi, in base ai testi dell'edizione 2020, lei ha modificato il suo giudizio sulla produzione narrativa italiana? Lei l'anno scorso rilevò che gli autori erano «acerbi», troppo ripiegati sul loro ombelico, emuli dei modelli americani e poco rispettosi della tradizione letteraria nazionale.
«L'anno scorso avevo riscontrato soprattutto un ricorso al romanzo storico e la mia era una fotografia dello stato dei fatti. Quest'anno verifico che c'è stato un generale sforzo al riflettere sulla condizione del presente, tanto che le opere dei 6 autori finalisti sembrano scritte durante e dopo l'emergenza da pandemia. Tutte contengono presagi e moniti importanti: sul passato che ritorna, sulla condizione della reclusione, sul senso del contagio, sulla capacità inclusiva dell'istruzione. Sono romanzi che concorrono ad animare uno sforzo di comprensione del nostro complicato presente e la possibilità di recuperare un significato del tempo in cui si vive».
Tempo assai difficile e incerto, anche per l'intera filiera del libro. Il premio Strega si è svolto in mesi di distanziamento fisico e di chiusura delle librerie.
«Purtroppo sappiamo che in Italia si legge poco e non soltanto negli ultimi mesi. Il periodo che abbiamo incrociato dovrebbe spingerci a misurarci con la necessità di nuove forme di lettura, con una trasformazione già in atto: si sta passando dal libro su carta al libro elettronico e soprattutto da una scrittura letteraria tradizionale a un'altra più breve e immediata. Occorrerebbe riflettere sul cambiamento e i mesi che hanno visto il protagonismo obbligato della rete forniscono materiali utili. Il digitale è diventato un ambito di vita e c'è l'urgenza di una nuova visione del libro, della lettura e dell'organizzazione della cultura». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino