Un “luogo fantasma”. Abbandonato all’incuria degli uomini e all’azione trasformante della natura abbagliante in cui è incastonato, come una gemma...
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Molto più di un monumento, pur suggestivo anche se in rovina, e ben oltre la familiarità di una sagoma che conferisce una evocativa identità ad un paesaggio tanto incantevole quanto ormai riconoscibile, se non familiare, Palazzo d’Avalos è oggi soprattutto l’emblema di una sfida: quella di una indispensabile riqualificazione. Che armonizzi storia, cultura e natura, genius loci ed esigenze attuali: ma a partire dalla consapevolezza del valore di un sito che, per essere recuperato in modo adeguato alla fruizione contemporanea, deve innanzitutto essere (ri)conosciuto. E apprezzato. Anche dagli stessi procidani. A ridare coscienza (della storia, delle vicissitudini architettoniche, urbanistiche e sociali) e dignità al luogo è ora un pregevole volume, dal titolo Procida. Il Palazzo d’Avalos, scritto a quattro mani dall’architetto, urbanista e fotografo per passione Gianlorenzo di Gennaro Sclano con lo scrittore, artista e promotore culturale Pasquale Lubrano Lavadera: fresco di stampa per le edizioni Clean di Napoli (pp. 140, euro 15, con un ingente corredo di foto a colori, immagini e cartografie), il libro sarà presentato in anteprima questa sera alle 19 a Procida, nella libreria Nutrimenti. Con gli autori dialogherà l’architetto e storico dell’architettura Salvatore Di Liello, dell’università di Napoli “Federico II”.
Un’occasione preziosa, per ripercorrere non soltanto i 437 anni di vita di un prezioso manufatto architettonico fatto edificare tra il 1560 e il 1570 dal cardinale Innico d’Avalos, poi divenuto sul finire del XVIII secolo residenza estiva dei sovrani borbonici come sito reale e riserva di caccia, infine dolorosamente trasformato – dal 1830 al 1985 – in caserma, carcere e “Bagno Penale” per ergastolani, ultimi residenti di un assurdo ossimoro imposto da crudeli scelte umane (un istituto di pena isolato in un eden a cielo aperto!); ma un’opportunità, anche, per un confronto critico sui possibili percorsi di rigenerazione del monumento che il libro stesso propone, nella parte delle “Considerazioni finali”, dopo una puntuale disamina della genesi storica di Palazzo d’Avalos (curata da Lubrano Lavadera) e di quella architettonica e urbanistica (a cura del di Gennaro Sclano, autore anche delle foto e delle proiezioni in volume). Due punti di vista differenti, ma complementari: e - soprattutto - convergenti verso l’obiettivo di riaccendere i riflettori sulla necessità ormai ineludibile di un “recupero della bellezza” e dell’”armonia perduta” di un sito non soltanto ambientale di incomparabile interesse, penalizzato dalla sua perifericità ma che potrebbe, a ragion veduta, fregiarsi del titolo di patrimonio dell’umanità. Come bene culturale da tutelare, valorizzare e restituire alla pubblica fruizione. Facendo rivivere, tra cielo e mare, i suoi spazi interni ed esterni tra facciate, archi, volte e portali arroccati nel punto più alto di Terra Murata, con i suoi innumerevoli passaggi e terrazze, giardini pensili e vigneti. Affascinanti e capaci, ancora oggi, di echeggiare storie.
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Il Mattino