Spaesati, Massimo Cerulo e Paolo Jedlowski indagano l'emigrazione giovanile: Napoli capitale

Partire significa impoverire il territorio d'origine

Napoli capitale dell'emigrazione giovanile
Diciassettemila. Sono le partenze da primato nazionale che ogni anno si registrano da Napoli e provincia con destinazione il Nord e il Centro dell'Italia. Per lo più...

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Diciassettemila. Sono le partenze da primato nazionale che ogni anno si registrano da Napoli e provincia con destinazione il Nord e il Centro dell'Italia. Per lo più sono ragazzi e ragazze d'età compresa tra 18 e 28 anni. Emigrano, ancora oggi che siamo nel 2023, in cerca di lavoro. Nessun'altra città italiana ha un tale record di partenze. Il dato è sottolineato in Spaesati (Il Mulino, pagine 226, euro 18), scritto da Massimo Cerulo, sociologo della Federico II, insieme al collega Paolo Jedlowski dell'università della Calabria.

Il saggio offre una visione nuova del fenomeno migratorio all'interno del nostro paese partendo dal presupposto che oggi conduciamo tutti vite mobili, scandite da continui spostamenti tra più città per i motivi più diversi. Poi ci sono quelli che partono e non tornano più, e quelli che partono e, dopo molti anni, sentono la necessità di tornare.

Di questo regno dell'irrequietudine, dell'apolidia diffusa, continua a essere capitale Napoli, città che più rimanda «alla narrazione del viaggio. I bastimenti che partivano oltre un secolo fa, le canzoni degli emigranti, il Golfo e il Vesuvio a rappresentare, simbolicamente, partenze e arrivi» scrive Cerulo. E allora Napoli diventa per antonomasia la città della nostalgia, come dimostra anche «un termine che mi sembra ben si addica alla situazione del viaggiatore preda della nostalgia: appocundria, interfaccia dell'italiano ipocondria, ma dal significato più articolato e complesso: indica una condizione di turbamento, incertezza, fastidio, piccolo dolore. A tratti noia, malinconia. In alcuni casi, pigrizia. È uno stato d'animo che caratterizza bene il sentire del viaggiatore per professione, come nel nostro caso: quell'accettazione, velata da nostalgia-malinconia, del non poter essere stanziali, del vivere nel mezzo, spesso sospesi tra tempi e spazi».

Al di là delle sfumature emotive, più prosaicamente partire significa impoverire il territorio d'origine. Negli ultimi 25 anni la riduzione degli occupati, come conseguenza dello spopolamento meridionale soprattutto giovanile (-1,6 milioni), e i deficit di lungo corso hanno, di fatto, determinato un continuo e progressivo calo del Pil prodotto dal Sud ampliando ulteriormente i divari con le altre aree del Paese. Tra il 1995 e il 2020 il peso percentuale della ricchezza prodotta dal Meridione sul totale dell'Italia è passato da poco più del 24% al 22%, mentre il Pil pro-capite è sempre rimasto intorno alla metà di quello del Nord. 

Per di più, oggi l'emigrante meridionale non parte con le valigie di cartone povero in canna, spesso ha un'istruzione e già a disposizione un capitale. La speranza arriva dalla recente espansione turistica e di offerta universitaria di Napoli, grazie alla quale si sta invertendo il tipico trend di chi parte dal Sud per andare al Nord. «Nell'Apple Accademy di San Giovanni a Teduccio diversi studenti vengono dal Settentrione e molti di questi sperano di rimanere a Napoli. Di recente una studentessa di Torino ha ammesso di voler rimanere qui dopo il corso per «restituire alla città quello che ho avuto». Napoli, e il Sud, stanno attraendo cervelli del Nord, e questo è un fenomeno nuovo, incoraggiante». 

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Il Mattino