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«Mi sono trovata a lavorare in cucine come unica donna della brigata: ho faticato a non farmi mettere i piedi in testa. Alcuni colleghi uomini si divertono a sminuirti appena ne hanno l'occasione, con molestie verbali e tante volte anche fisiche. Senza rispetto e senza un confronto costruttivo». Sono ricordi anche dolorosi ma ormai legati al passato, quelli della ventinovenne Erika Gotta, chef piemontese che quest'anno ha conquistato prima la Corona Radiosa 2023 a Golosaria 2022 e poi il prestigioso titolo di miglior chef Under35 dell'anno ai Food Community Awards 2022, evento annuale che esalta il lavoro di chef, format, concept e ristoranti che si sono distinti nel settore. Classe 1993, volitiva e perfettamente in grado di gestire una brigata, inizia la sua carriera nel 2008 all'istituto alberghiero Velso Mucci a Bra, nel 2018 lascia il Piemonte per la Lombardia dello chef stellato Giancarlo Morelli, ma vi ritorna nel 2021 chiamata da un'altra donna volitiva, l'imprenditrice milanese Barbara Varese, e oggi è chef del ristorante La Bursch, a Campiglia Cervo, in provincia di Biella.
Il mondo della cucina è ancora così difficile per una giovane donna?
«È estremamente maschilista. Forse proprio per questo ho sempre tirato dritto per la mia strada: per poter avere un giorno la possibilità di dimostrare che potevo e che ce l'avrei fatta, proprio come può farcela un uomo».
Le è capitato di sentirsi sottovalutata o sminuita in quanto donna?
«Tantissime volte, forse troppe. Anche quando non era necessario, ricordo tanti pianti chiusa in bagno. Ero anche la più piccola di casa e non avevo acquisito a pieno la consapevolezza delle mie capacità. Ho sempre avuto una vocina dentro di me che mi ronzava nella testa e mi diceva di non preoccuparmi: tu vali. Io lo so, ancora oggi mi guida e mi conforta. Se non fosse stato per la mia determinazione e per quella vocina, probabilmente adesso farei un lavoro che non mi gratifica e che non amo».
Esperienze difficili da ignorare; eppure quando ha capito che non voleva arrendersi?
«Con il tempo e con l'esperienza, provando e riprovando perché all'inizio non ero sicura. È un lavoro molto faticoso che può privarti di tante cose.
Ha seguito le orme familiari?
«Ho degli zii che hanno un ristorante, ma la vera passione mi è stata infusa da mio papà. Quando io e mia sorella eravamo bambine, ci metteva ai fornelli e ci insegnava tutti i suoi trucchetti che ancora oggi non rivelo».
Cosa rappresenta per lei essere la miglior chef Under35? «Una conferma per tutti i ragazzi che mettono anima e corpo nel lavoro ogni giorno insieme a me. Sono sempre stata abituata a perdere, in questo caso vincere un premio del genere e trovarmi insieme ai Big della cucina mi ha reso molto fiera di tutto e tutti».
Qual è stato il suo percorso professionale?
«Dopo l'Istituto alberghiero ho iniziato a Il Marachella, ristorante nel complesso del Monastero di Cherasco. Poi sono passata al Caffè Osteria Bertaina di Mondovì e presso La Ciau del Tornavento; quest'ultima è stata un'esperienza faticosissima ma molto formativa. Mi sono spostata a Milano nel 2018 al Ristorante Morelli, sotto la guida sapiente di Livio Pedroncelli sous chef di Giancarlo Morelli e successivamente da Pomiroeu. Nel 2020, in piena pandemia, con mia sorella Alida e il suo compagno Maurizio Rosazza Prin proviamo un'esperienza inedita: una ghost kitchen. Poi l'incontro fatidico con Barbara e il mondo de La Bursch».
Cos'è una ghost kitchen?
«Chiamata anche dark kitchen è una cucina centralizzata, chiusa dove si preparano esclusivamente piatti per le consegne a domicilio. Partendo da zero con mia sorella e il compagno, abbiamo selezionato le migliori materie prime e sperimentato i piatti più golosi e creativi, con estrema cura e precisione. Un vero e proprio tour de force: ricordo che Maurizio mi preannunciava la sveglia chiamandomi alle 6.30 del mattino, quando invece era generoso erano le 7. Un'esperienza unica e formativa che ha contribuito a rendermi quella che sono oggi: una cuoca che non lascia nulla al caso!».
Che consigli darebbe a chi volesse intraprendere la sua professione?
«Bisogna essere convinte: è un mondo difficile e faticoso. Bisogna immaginare di indossare un'armatura tutti i giorni e combattere, consapevoli che a volte si può essere anche sconfitti. È una sfida che aiuta a crescere. Importantissimo, secondo me, essere umili e appassionati con tanta fame di imparare. Sono una persona con i piedi ben saldi a terra e continuo a testa dura a lavorare con i ragazzi a questo progetto pazzesco che è La Bursch. Sono sicura che con sacrifici e impegno i risultati arriveranno, senza sognare troppo».
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Il Mattino