Alla fine è successo. Alcoa ha fatto sapere che non produrrà mai più alluminio nell'impianto sardo di Portovesme, nel Sulcis. Un annuncio «inatteso...
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Quattro anni di delusioni e speranze, di trattative serrate che più di una volta son sembrate prossime a una soluzione. Quattro anni duri soprattutto per i lavoratori dell'Alcoa - 420 diretti e 350 degli appalti (in questo momento 80 non hanno l'ammortizzatore sociale) - così unici nel manifestare il disagio anche attraverso proteste clamorose. L'ultimo a marzo, con i tre segretari territoriali di Fim, Fiom e Uilm, Rino Barca, Roberto Forresu e Daniela Piras, per giorni a 60 metri d'altezza su un silo dello stabilimento. Ma in passato gli operai hanno bloccato navi, l'aeroporto di Cagliari Elmas, e a Roma sono stati protagonisti di scontri con le forze dell'ordine. Sempre per sollecitare il rispetto degli impegni assunti per far ripartire gli impianti. Impegni presi fin dal 2012, quando la multinazionale dell'alluminio dichiarò di voler fermare la produzione. A marzo di quell'anno sindacati e governo firmano un accordo in vista di una soluzione, ma tra settembre e novembre dello stesso anno la fermata diventa una realtà.
All'origine della decisione di Alcoa c'è la multa da 300 milioni di euro inflitta nel 2011 dalla Commissione europea che dichiara le tariffe preferenziali riconosciute alla multinazionale quali aiuti di Stato illegittimi. Dall'1 gennaio 2013 tutti gli operai finiscono in Cig e due anni dopo in mobilità. Intanto, con il coinvolgimento di Governo e Regione, proseguono le trattative con società interessate ad acquisire lo smelter. La più seria - ma in corso ci sono state quelle con Aurelius e Fondo Clash - sembra quella avviata con la svizzera Glencore. Che nel 2012 stende un memorandum: chiede energia a 25 euro a megawattora per dieci anni in regime di superinterrompibilità. Viene accontentata. Ma le richieste non finiscono. E oggi Alcoa ha detto basta. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino