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Nel momento del bisogno, si sa, dovrebbero esserci gli amici. Spesso ci si potrebbe accontentare di un bagno.
Lo sa bene chiunque abbia vissuto l’ansia dei bar chiusi, durante il lockdown. Non si usciva di casa non tanto per l’onere della mascherina, ma per la consapevolezza di non poter contare sul bagno dei bar lungo il percorso.
Roma, zona Piazza Mazzini. I bar sono tanti, diciamo in uno dei più noti, che non dà proprio sulla piazza. Per carità di patria ci fermiamo qui per l’identificazione. Caffè, cornetto, bis di caffè. Poi scatta il bisogno. Ci si dirige con abitudine – lo frequentiamo spesso – al luogo dove si accede alla “toilette” (chissà perché preferiamo parole straniere per indicare quel posto). Con toni bruschi ci sentiamo appellare: «Dove va?». «In bagno». E non è carino dichiarare una debolezza, soprattutto quella della vescica. «È fuori uso. Stiamo facendo dei lavori». Il mondo ti può crollare addosso per molto meno. E speri di poterti controllare. Provi una timida protesta, quando invece potresti fare la voce grossa. L’articolo 187 del Tulps (Testo unico delle leggi sulla pubblica sicurezza) riconosce il diritto ad avere un bagno messo a disposizione, gratuitamente, dal gestore dell’esercizio. In caso contrario, infatti, il gestore è passibile di sanzioni: l’avventore che si è visto rifiutare l’uso del bagno può chiamare le forze dell’ordine per una verifica. Lo sai. Ma si sa, nel momento del bisogno si è più fragili. La reazione piccata potrebbe essere fatale per la tenuta. Borbottando e subendo l’abuso del gestore arranchiamo in banca. L’home banking è comodo, ma non offre questo servizio. Abbiamo il conto da anni, mai andati in rosso. Qualche piccolo investimento. Ci salutano all’ingresso, fingiamo di dover fare un’operazione allo sportello e poi dichiariamo un improvviso bisogno, che invece ci trasciniamo dalla sconfitta al bar. La risposta ci raggela: «Con il Covid non possiamo fare usare il bagno ai clienti. C’è il bar di fronte».
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