Banconapoli, fusione il 26 novembre

Banconapoli, fusione il 26 novembre
Il Banco di Napoli sarà integrato definitivamente in Intesa Sanpaolo il prossimo 26 novembre, anche se il logo continuerà a campeggiare sulle agenzie del Mezzogiorno...

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Il Banco di Napoli sarà integrato definitivamente in Intesa Sanpaolo il prossimo 26 novembre, anche se il logo continuerà a campeggiare sulle agenzie del Mezzogiorno continentale almeno fino al 2020. La fusione per incorporazione, che ha subito una proroga di sei mesi per questioni organizzative, è stata comunicata ufficialmente ai sindacati, convocati a Milano venerdì prossimo per ricevere i dettagli del piano che riguarda nel complesso dodici banche reti del gruppo, tra cui l'istituto di via Toledo. Il Banco rientra nel cosiddetto secondo scaglione, quello che vedrà compimento in autunno. Il primo riguarda alcune banche che scompariranno il 23 luglio. Il terzo scaglione terminerà invece il 25 febbraio 2019.


Le altre banche che saranno inglobate sono, oltre al Banco Napoli, Banca Nuova, Banca Imi, Mediocredito Centrale, Banca Prossima, Carisbo, Banca Apulia, Cassa di risparmio del Veneto, Carifirenze, Cassa di risparmio Friuli Venezia Giulia, Cassa dei risparmi di Forlì e della Romagna e Cassa di risparmio di Pistoia e della Lucchesia.

A Milano Intesa Sanpaolo ha convocato le segreterie di gruppo, quelle nazionali di categoria e i coordinamenti aziendali. Il segretario responsabile Fisac Cgil del Banco Napoli Tullio Giugliano e il Dipartimento Mezzogiorno della stessa sigla, coordinato da Ciro De Biase, spiegano che il marchio resterà «almeno fino al 2020, più probabilmente sino alla fine del piano industriale: il 2021. Il 26 novembre, data di efficacia giuridica dell'operazione, il codice Iban del Banco di Napoli scomparirà per i clienti. Peccato», dicono in coro, perché «il Banco è il miglior istituto del gruppo nei numeri, persino superiore alla capogruppo, e ha perso cento occupati all'anno negli ultimi dieci non rimpiazzati se non da pochissime decine di assunzioni. Non solo. Il rapporto impieghi su raccolta è al 90%, cioè qui si raccoglie più di quanto si investe, mentre altrove è l'inverso: il 108%». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino