Borse, Milano maglia nera in Ue timori per la Fed dopo l'inflazione Usa

La sede della borsa a Wall Street
ROMA Termometro Fed, si cambia di nuovo. Sono arrivati i dati sull’inflazione Usa a cambiare l’umore di Wall Street che soltanto poche ore prima, alla vigilia, aveva...

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ROMA Termometro Fed, si cambia di nuovo. Sono arrivati i dati sull’inflazione Usa a cambiare l’umore di Wall Street che soltanto poche ore prima, alla vigilia, aveva festeggiato una serie di dati macroeconomici deludenti, a partire da quelli sull’occupazione, lasciavano presagire un atteggiamento attendista sui tassi di interesse, da parte della Fed nella riunione che si concluderà il 21 settembre. Ma anche questa volta l’entusiasmo è durato poco e niente. Perchè una ripresa dell’inflazione, così come è stata registrata (+0,2% su luglio e 1,1% sull’anno), potrebbe davvero convincere la Banca centrale Usa ad alzare i tassi entro fine anno, magari già la prossima settimana. Così Wall Street ha iniziato la seduta con il segno meno, trainando anche le Borse europee, già appesantite dalla mattina per l’incertezza sulle prossime mosse di politica monetaria delle banche centrali. Un po’ tutte le Borse Ue risentono della debolezza dei titoli bancari sul scia del crollo di Deutsche Bank, colpita da una richiesta di risarcimento da 14 miliardi di dollari da parte del Dipartimento di Giustizia Usa legata alla vendita dei mutui subprime. Una cifra decisamente più alta di quanto calcolato dagli analisti, dalla banca stessa e da quanto versato da gruppi rivali per casi simili.

Ma la peggiore è Milano che, da parte sua, con un calo di oltre il 2% paga le incognite sul rilancio di Mps. I timori sono per la riuscita del piano di salvataggio, ma anche per il costo che potrebbe avere l’aumento di capitale per gli attuali azionisti, dopo che tra il 2014 e il 2015 la banca ha già battuto cassa per altri 8 miliardi.

Tornando al termometro Fed, di fronte a un indice dei prezzi al consumo ad agosto salito dello 0,2% su luglio (sopra le stime) e dell’1,1% sull’anno prima, è la parte «core», quella depurata dalle componenti volatili di prezzi energetici e alimentari, quella più studiata dagli investitori essendo quella preferita dalla Fed. Su base annuale quel dato è salito del 2,3% mettendo a segno il decimo mese di fila sopra il target 2% annuo della banca centrale Usa. Considerando che la stabilità dei prezzi, insieme alla piena occupazione, fa parte del mandato della banca centrale Usa, il mercato torna a temere una stretta imminente. Quando l’incertezza è così alta è sempre la volatilità a vincere. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino