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Ad aprile scorso, secondo la rilevazione di Altroconsumo, il prezzo medio della passata di pomodoro al supermercato o al discount era di 1,59 euro rispetto a 1,31 euro di un anno prima. Un rincaro del 22% e, soprattutto, l’azzeramento delle differenze di prezzo tra le tipologie di vendita della grande distribuzione. Un fenomeno temporaneo? Non proprio se si considera che in 4 anni il costo a tonnellata del pomodoro fresco è passato da 87 euro agli attuali 150, quasi il doppio. Tutta colpa, assicurano le industrie conserviere, dei rincari delle materie prime che hanno reso i costi di produzione quasi insostenibili, finendo inevitabilmente per incidere sul prezzo al consumo. Prima l’acciaio (ricordare due anni fa l’allarme per l’aumento delle lattine?), poi l’energia (a partire dal metano, particolarmente utilizzato nel settore), e ora il vetro, materiale fondamentale per il confezionamento finale. «Siamo a rincari del 40% rispetto al 2022» denuncia l’Anicav, l’Associazione nazionale delle industrie conserviere nata nel 1945 a Napoli, la più grande associazione di rappresentanza delle imprese di trasformazione di pomodoro al mondo per numero di imprese aderenti e quantità di prodotto trasformato.
Il nuovo allarme a pochi giorni dall’inizio della campagna di trasformazione 2023: «Da un lato la costante crescita dei costi di produzione, in particolare quelli della materia prima e degli imballaggi, dall’altro la contrazione dei consumi generata dalle tendenze inflattive, avranno certamente effetti molto negativi sulle marginalità delle imprese», scrive l’Associazione, confermando indirettamente che anche per questa stagione i ritocchi di prezzo ci saranno, sia pure compensati dalla capacità di resilienza delle industrie di settore, punte di diamante di un comparto che per qualità e volumi continua a mettere l’Italia (e il Sud per i pelati) al primo posto nel mondo.
«Gli incrementi dei prezzi a scaffale degli ultimi mesi nella maggior parte dei casi non si sono tradotti in maggiori profitti, e serviranno solo a coprire parzialmente i costi in continua crescita. Penso in particolare al prezzo riconosciuto alla parte agricola per la materia prima che ha visto aumenti fino al 40% rispetto allo scorso anno» dice il Presidente di Ancav, Marco Serafini.
In effetti, nonostante problemi non facili da affrontare e imprevisti davvero importanti (la guerra in Ucraina in primis), i numeri del comparto restano formidabili. La filiera del pomodoro, che al Sud rappresenta la metà del fatturato nazionale e può contare tra Campania e Puglia su due terzi del totale degli stagionali, resta di gran lunga la più importante filiera italiana dell’ortofrutta trasformata. L’Italia, terzo trasformatore mondiale di pomodoro dopo gli Stati Uniti e poco distante dalla Cina, è sempre il primo trasformatore di derivati destinati direttamente al consumo finale e rappresenta il 14,8% della produzione mondiale (pari a 37,3 milioni di tonnellate) e il 56,5% del trasformato europeo. Inevitabile, di conseguenza, che ogni oscillazione nel settore, specialmente sui costi, determini reazioni importanti: è capitato in primavera durante la difficile trattativa per la fissazione del prezzo della campagna 2023 tra industrie e produttori, in pieno allarme siccità. Si è gridato perfino al percolo che la passata di pomodoro potesse scomparire dalla distribuzione per via del mancato accordo. Pericolo cessato, almeno per ora, ma le incognite per il futuro del settore non sono finite.
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