Case green, la trappola che blocca i mutui: la direttiva chiede che siano le banche a migliorare le prestazioni energetiche

La direttiva che impone emissioni zero entro il 2050 per tutti gli edifici chiede che siano le banche a migliorare negli immobili le prestazioni energetiche

Case green, la trappola che blocca i mutui: la direttiva chiede che siano le banche a migliorare le prestazioni energetiche
Ad impossibilia nemo tenetur. È uno dei precetti cardine della civiltà giuridica. Significa che nessuno è tenuto ad adempiere a una prestazione...

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Ad impossibilia nemo tenetur. È uno dei precetti cardine della civiltà giuridica. Significa che nessuno è tenuto ad adempiere a una prestazione impossibile. Ma dalle parti di Bruxelles, in nome della rivoluzione green tutto viene considerato possibile. Anche quello che non lo è. O quantomeno non lo è dappertutto allo stesso modo. Prendiamo la direttiva sull’efficientamento energetico del patrimonio edilizio, meglio nota con il nome di direttiva sulle “case green”. Quello che dice ormai lo sanno più o meno tutti. Entro il 2050 la totalità degli edifici residenziali dovrà essere a emissioni zero.

 

 

Nemmeno un grammo di CO2 dovrà essere trasferito da un appartamento all’atmosfera. Principio giusto, non va nemmeno detto, in un’epoca in cui il riscaldamento globale rappresenta una delle principali emergenze. Piuttosto a essere discutibile, se non in alcuni passaggi persino folle, è il percorso che dovrebbe portare a raggiungere questo obiettivo nel 2050. Gli edifici, dice la direttiva, dovranno raggiungere almeno una classe “F” entro il 2030 e la classe “E” a partire dal 2033. Semplice in un Paese scandinavo, difficile, quasi impossibile, in un Paese come l’Italia dove andrebbero ristrutturati oltre 8 milioni di immobili, il 60 per cento del patrimonio abitativo. Chi può permettersi uno sforzo finanziario di questa portata? In altre parole, chi paga? È evidente che non tutti i proprietari di casa potranno permettersi di sostenere i costi elevati delle ristrutturazioni energetiche. Lo Stato allora? Ha già dato con il Superbonus del 110 per cento, dopo aver speso oltre 70 miliardi di euro per soli 385mila cantieri secondo i dati Enea. Insomma, uno sforzo che stava per mandare all’aria i conti pubblici ma che ha interessato una piccolissima percentuale del patrimonio immobiliare italiano.

 

 

LA RISPOSTA

Allora la risposta potrebbe essere le banche? Gli istituti di credito potrebbero finanziare questa epica ristrutturazione prevista dalla direttiva sulla casa green? Meglio non farci troppo affidamento. Lo ha spiegato il direttore generale dell’Abi, Giovanni Sabatini, in audizione alla Camera dei Deputati. «Anche le banche», ha detto, «potrebbero avere difficoltà a erogare finanziamenti ipotecari a soggetti con più basso merito creditizio, posto che il processo di finanziamento deve basarsi necessariamente su una solida valutazione del merito del credito». Ma in realtà per le banche le preoccupazioni maggiori sono altre. La direttiva chiede agli istituti di credito di «migliorare le prestazioni energetiche degli immobili posti a garanzia dei propri portafogli mutui». Scritta così sembra quasi un errore. E più di un osservatore ha pensato che fosse un refuso della direttiva. In effetti una norma del genere presuppone che le banche debbano migliorare l’efficienza energetica di immobili di cui non sono proprietarie o riuscire a imporre ai proprietari di fare i lavori. Non è difficile, è impossibile. E, si diceva, ad impossibilia nemo tenetur. Ma davvero si può considerare questo comma inserito nella direttiva come un semplice errore? Meglio essere prudenti. Proviamo a riportare allora le lancette dell’orologio a dicembre del 2021, alle prime bozze del provvedimento europeo sulle case green. In quei testi era presente una norma che aveva suscitato grandi polemiche e che poi è stata cancellata. Si introduceva un divieto di vendita e di affitto per le case che entro una certa data non avessero raggiunto i requisiti minimi di efficienza energetica previsti dalla direttiva. Un sistema simile è stato già adottato in Francia. Una sorta di “obbligo” di ristrutturazione. Uscita dalla porta, quella norma rischia di rientrare dalla finestra. Se questa norma non venisse modificata, ha spiegato in Parlamento il direttore generale dell’Abi, «le banche sarebbero necessariamente obbligate – nell’impossibilità di migliorare la qualità degli immobili già assunti a garanzia – a orientare le proprie scelte di finanziamento verso immobili che hanno migliori performance energetiche, riducendo le possibilità di accesso al credito per l’acquisto e la riqualificazione degli immobili di minore qualità».

 

 

IL PASSAGGIO

Detto insomma in altri termini, gli immobili che non rispettano i requisiti della direttiva sarebbero difficilmente “bancabili”. Gli istituti di credito non potrebbero concedere i mutui per acquistarli e, dunque, gli appartamenti potrebbero essere comprati (molto probabilmente a prezzi ridotti) da chi ha ampie disponibilità economiche, come i grandi fondi di investimento. Il vero rischio, insomma, è che a un certo punto si determini una forte offerta sul mercato di immobili “fuori norma”, che cioè non rispettano il dettato della direttiva europea. Anche perché, vale la pena ripeterlo, ristrutturare tutti gli edifici non sarà possibile. Lo ha ben spiegato numeri alla mano l’Ance, l’Associazione dei costruttori. Entro il 2033, secondo i conteggi più prudenti dell’Ance, andrebbero ristrutturati 2 milioni di edifici, 200mila all’anno, per un costo tra i 40 e i 60 miliardi di euro. Senza incentivi, la media annua delle ristrutturazioni in Italia è di 2.900. Questo significa che servirebbero 3.800 anni per completare quello che la direttiva chiede di compiere entro il 2050. Confedilizia, l’associazione dei proprietari di casa, l’ha definita una «eco patrimoniale». Difficile dargli torto. Nel mattone gli italiani hanno depositato una buona parte della loro ricchezza. Ridurre il valore degli immobili non solo impoverirà il Paese, ma frenerà il credito e lo sviluppo dell’economia. L’assalto alla casa è un assalto ai risparmi degli italiani.

 

 

 

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Il Mattino