Sanità, trasporti, asili e università: al Sud i diritti valgono meno

Sanità, trasporti, asili e università: al Sud i diritti valgono meno
 Si fa presto a dire «costi standard». Poi, quando si tratta di abbandonare la spesa storica per passare a misuratori oggettivi dei bisogni, iniziano i mal di...

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 Si fa presto a dire «costi standard». Poi, quando si tratta di abbandonare la spesa storica per passare a misuratori oggettivi dei bisogni, iniziano i mal di pancia. Al Nord. Perché la spesa pubblica - come ben ricordava ieri su queste pagine Gianfranco Viesti - al Sud è storicamente più bassa. E quindi il Mezzogiorno ha tutto da guadagnare da un riparto delle risorse che misuri i bisogni e i diritti oggettivi delle popolazioni, ovviamente con servizi efficienti e prodotti senza sprechi. Per esempio se l’Italia avesse stabilito, come ha fatto la Spagna, che tutte le aree metropolitane della penisola dovessero essere collegate con treni ad alta velocità, a nessuno sarebbe venuto in mente di realizzare una rete dal Brennero a Battipaglia, tagliando un terzo di penisola.


E forse avremmo fatto come in Spagna che ha inaugurato per prima la Tav che da Madrid va verso la meridionale Siviglia. Il federalismo sanitario e quello fiscale, però, stanno imponendo l’abbandono graduale della spesa storica per passare a criteri oggettivi. Tuttavia le regioni ricche non si sono rassegnate a un riequilibrio in favore del Mezzogiorno e hanno proposto e fatto approvare - con la colpevole disattenzione delle classi dirigenti del Sud - criteri che sotto una patina di oggettività nascondono dei veri e propri trucchi per conservare - e in qualche caso incrementare - i vantaggi storici. Eccone una rapida rassegna che tocca su sei campi - sanità, università, istruzione, manutenzione strade, asili e trasporti locali - il riparto annuale di 123 miliardi di euro. Una cifra talmente elevata che merita di essere tradotta: sono 6.000 euro annui a famiglia.

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