Alimentare, farmaceutia o packaging: il modello Emilia si rinnova e sfida la transizione

La resilienza delle filiere rafforza l'export. Bonfiglioli (Confindustria Emilia Area Centro): «Maggiori conoscenze e nuove infrastrutture per crescere nel mondo»

Alimentare, farmaceutia o packaging: il modello Emilia si rinnova e sfida la transizione
Sulla via Emilia la parola d’ordine è resilienza. Ascolta: Irpef più leggera per i redditi medi: la riforma. Ed è boom delle nozze...

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Sulla via Emilia la parola d’ordine è resilienza.

La resilienza mostrata dall’industria farmaceutica che investe all’anno 400 milioni di euro in ricerca e sviluppo ed è riuscita a tamponare la crisi di un settore che sconta le restrizioni comunitarie su brevetti e R&S: infatti nell’ultimo decennio ha raddoppiato le esportazioni, sopra i 3 miliardi annui. Resilienza delle filiere d’eccellenza – meccanica, automotive, alimentare, abbigliamento, tessile, packaging – che lo scorso anno hanno aumentato i fatturati nonostante, a monte, i rincari di materie prime e componentistica o quello dell’inflazione a valle per i consumi. Resilienza, più in generale, messa in campo da tutto il modello emiliano: nonostante un quinquennio tra alluvioni, pandemia e sisma, il Pil del territorio – stima Prometeia – nel 2023 è cresciuto dello 0,7 per cento, contenendo la disoccupazione al 4,8 per cento. Una questione non secondaria, visto che – ha calcolato la Banca d’Italia – in Italia le aree colpite da grandi calamità segnano, rispettivamente, un calo medio di ricavi e addetti del 4,2 e dell’1,9 per cento, riassorbendo gli effetti in 4 o 5 anni. Qui, indipendentemente dalla velocità, si è già ripartiti. E parliamo di una terra dove, soltanto per quanto riguarda le inondazioni del 2023, nel raggio di un chilometro sono insediate 3.500 società di capitali, con un valore aggiunto di 3 miliardi e oltre 53mila dipendenti. Benvenuti nel modello emiliano. Che storicamente si traduce in patto sociale tacito: cresciuto sulle buone performance economiche e industriali delle filiere; consolidato grazie ad accordi sindacali che in base alle necessità del momento sanno guardare alle ristrutturazioni o alla formazione professionale continua; cementificato con il buon governo locale, che ha saputo semplificare la burocrazia o favorire gli insediamenti, anche trovando i siti. Un modello per certi aspetti renano, che ora deve fare l’ultimo salto di qualità per difendere i suoi mercati o conquistarne altri.

DINAMICI

Spiega Sonia Bonfiglioli, ingegnere, vicepresidente di Confindustria Emilia Area Centro e, soprattutto, presidente della Bonfiglioli S.p.A, leader globale nel mercato degli azionamenti per macchine di processo e movimentazione industriale, generatori eolici e macchine mobili per l’edilizia: «Il nostro è un territorio resiliente che ha fortificato la sua posizione sulla forza delle filiere, riconosciuta nel mondo. Su un sistema di imprese dinamico, che da multinazionali tascabili è passato a multinazionali tout court, dove l’headquarter e il potere decisionale sono ancora a casa nostra». Questo lo stato dell’arte. «Ma oggi siamo a un punto di svolta: c’è la necessità di ricreare un nuovo patto, di rifondare e riqualificare alcune filiere, penso per esempio all’automotive simbolo dell’Emilia che deve affrontare la rivoluzione dell’elettrificazione». E la ricetta passa per nuove conoscenze – Confindustria ha costituito una piattaforma Life long learning dove le aziende portano i loro corsi – e per nuove infrastrutture: strade, autostrade, aeroporti, campi per la logistica, senza dimenticare la rete ferroviaria. Il modello emiliano ha quindi tracciato la strada per difendere le sue filiere di eccellenza: tutte con redditività, livelli di esportazione e numero di occupati superiori alle medie nazionali di oltre dieci punti percentuali. Per esempio – nel triangolo industriale Bologna, Modena e Ferrara – la metà delle aziende è saldamente presente all’estero. Per esempio l’agroalimentare vale 10 miliardi di euro, poco sotto ci sono i comparti delle facilities (9,3 miliardi di euro) e dell’arredamento e degli articoli della casa (6,9 miliardi). Cresce il packaging (fatturato di 5,4 miliardi) e, con la forza dei suoi marchi, regge l’automotive (5,4 miliardi). Hanno invece stretto un patto con i centri di ricerca, università locali in primis, la meccanica (5,1 miliardi), la chimica e la farmaceutica (4,6 miliardi), la moda e il lusso (4,4 miliardi). Crescono sul fronte dell’internazionalizzazione le filiere dell’elettronica e meccatronica (3,1 miliardi), del digital (2,3 miliardi) o dei veicoli industriali (2,1 miliardi). Nell’ultimo report di Unioncamere sulle performance del 2023, si legge che «in rapporto alla popolazione residente l’Emilia-Romagna con 14.406 euro di export pro-capite è la prima regione in Italia, con un valore pari al 182 per cento del dato medio nazionale». Ma per mantenere questi livelli, conclude Sonia Bonfiglioli, «ci stiamo aprendo a nuove tecnologie: introdurre nelle nostre filiere la robotica collaborativa, spingere la filiera della componentistica verso la guida assistita o quella medicale verso il remote control. Nei nostri escavatori, per esempio, abbiamo inserito sensori in grado di gonfiare o sgonfiare i pneumatici in base alla durezza dei terreni o di scegliere i sementi da piantare. Così si risparmiano risorse ed energia».

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Il Mattino