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La spallata decisiva è arrivata dall'allarme sociale provocato dalla pandemia. Di fronte ad esso e dopo il lungo lavorìo di quanti (come Il Mattino) si battono da anni contro i diritti di cittadinanza negati agli abitanti del Mezzogiorno, è caduto un altro bastione del fortino - molto nordico - che considera la spesa storica come unico criterio per il riparto delle risorse pubbliche agli enti locali. La Commissione per il federalismo fiscale ha deciso infatti di accogliere la nuova metodologia di calcolo dei fabbisogni standard dei Comuni avviando, di fatto, una svolta nell'assegnazione delle risorse per settori decisivi come i trasporti, la viabilità e soprattutto i servizi sociali. Parliamo, per intenderci, di 5,8 miliardi di euro, quasi 700 milioni in più di fabbisogni emersi nel 2021 rispetto alla dotazione del 2020. Troppo evidenti la preoccupazione per le conseguenze della crisi sanitaria e le incognite sui nuovi costi delle amministrazioni locali per non aggiornare i parametri relativi a settori «su cui erano più evidenti le criticità della metodologia esistente», come si legge nella relazione del Presidente del Comitato tecnico per i fabbisogni standard, Arachi, approvata dalla Commissione.
Mandare in soffitta la spesa storica vuol dire che in materia di viabilità conterà d'ora in avanti il criterio degli immobili e non più quello della popolazione per avere le risorse: saranno loro la cosiddetta variabile di riferimento per accedere al Fondo di solidarietà. Conteranno cioè elementi, quali la morfologia del territorio (lunghezza delle strade, i mq delle superfici, il rischio sismico, le aree a pericolosità di rischio frane elevata, la zona climatica), ma anche le presenze turistiche, i cluster e le eventuali diseconomie di scala. Verrà così evitato che i Comuni spopolati o popolati solo pochi mesi all'anno siano ancora penalizzati.
Ma è sui servizi sociali che la svolta è decisamente rilevante, con ricadute maggiori per Campania, Calabria e Puglia.
Sul piano tecnico, è stata fondamentale la decisione di eliminare i criteri discriminanti della cosiddetta dummy regionale. Fino ad oggi il fabbisogno per ogni Comune dipendeva dall'appartenenza regionale, a prescindere dagli interventi richiesti: potevi essere un Comune virtuoso sul piano della spesa in base all'annualità prevista ma se non ricadevi in una Regione altrettanto virtuosa non c'era niente da fare, avevi di meno. Ora invece si cambia: chi ha avuto di meno e può offrire servizi di qualità medio-bassa riceverà maggiori risorse. Decisiva è stata anche la scelta di spalmare l'analisi dei fabbisogni su più anni «per sanare un gap non degno di un Paese, sancendo l'uguaglianza dei cittadini nella propria Carta costituzionale», dice Russo. E aggiunge: «Se il Sud potrà attingere a risorse aggiuntive ciò non avverrà a discapito dei Comuni del Nord: ed è un risultato politicamente molto significativo».
Il criterio della spesa storica scomparirà peraltro gradualmente: sarà sostituito da quello della spesa standard (quest'anno al 33%) entro il 2030. Per i servizi sociali, nella determinazione dei fabbisogni standard è stato assegnato a tutti i Comuni un valore medio calcolato in base alla valutazione triennale di un gruppo di province, tutte del Centronord, «che appaiono virtuose per avere dei Comuni che in media hanno offerto un livello di servizi superiore alla media nazionale a fronte di una spesa inferiore alla media. L'effetto provinciale è stato stimato in circa 3,28 euro pro-capite che sono stati aggiunti in modo uniforme ai fabbisogni di tutti i Comuni». Si farà invece riferimento alle provincie di Torino e di Bologna rispettivamente per il numero delle ore di assistenza e il numero di utenti presi in carico: saranno quei valori il punto di riferimento dei fabbisogni standard per i quali la strada di molti Comuni del Sud da ieri sembra decisamente meno in salita.
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