Piano Ue, Profumo: «Si deve investire al Sud nell'interesse dell'Italia»

Piano Ue, Profumo: «Si deve investire al Sud nell'interesse dell'Italia»
L'Italia è in ritardo sul percorso preliminare che precede la presentazione del Pnrr entro fine aprile, in base all'agenda fissata dall'Europa, osserva non...

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L'Italia è in ritardo sul percorso preliminare che precede la presentazione del Pnrr entro fine aprile, in base all'agenda fissata dall'Europa, osserva non senza preoccupazione Francesco Profumo, già ministro e attuale presidente dell'Acri, l'Associazione delle Fondazioni di origine bancaria. E ricorda che «gli altri Paesi che hanno accelerato la presentazione del Pnrr stanno già lavorando con la task force insediata dall'Ue per mettere a punto nei due mesi finali dell'iter, marzo e aprile cioè, la proposta che sarà poi sottoposta all'approvazione finale dell'Ue. Hanno in altre parole già potuto acquisire tutte le indicazioni necessaria a predisporrei loro Pnrr nel modo più congruo per ottenere il visto definitivo».


Si può recuperare questa frenata o con le incognite attuali di una possibile crisi di governo l'Italia rischia di arrivare addirittura fuori tempo massimo alle scadenze decisive?
«Intanto il Pnrr deve passare l'esame del Parlamento. Dopo di che ci sarà l'interlocuzione in tempi purtroppo ridotti con la task force europea. Sappiamo che il regolamento definitivo del Pnrr sarà pubblicato a fine febbraio per cui ci restano circa 40 giorni per poter interloquire informalmente con la task force: così potremmo acquisire gli elementi in grado di semplificarci la scrittura della proposta definitiva e di presentarla entro il 20 aprile. In tal caso, dopo l'eventuale approvazione della Commissione, i primi progetti potrebbero iniziare in autunno. Fino al 2024 sappiamo di potere avviare gli altri progetti previsti dal Pnrr che comunque dovrebbero essere sempre conclusi entro il 2026 per concluderli, rendicontandone le relative spese».


Una mossa azzardata, allora, quella di avere scatenato adesso il putiferio politico?
«Il Pnrr ha elementi anche politici, inutile nasconderlo, e quindi capisco che se ne possa discutere anche in questa chiave. Se io decido ad esempio di investire più risorse sull'edilizia scolastica piuttosto che sulle politiche sociali ho fatto una scelta politica, privilegiando maggiore attenzione all'istruzione rispetto alle politiche attive per il lavoro. Il documento non può non avere una valenza politica, insomma».


Lei, che è un uomo del Nord, ha aderito al Manifesto per il Sud nel quale si chiede al governo di destinare preventivamente al Mezzogiorno almeno il 50% delle risorse complessive del Recovery Plan. Perché?
«La mia adesione è da italiano. Nel senso che il nostro Paese dev'essere messo nelle condizioni migliori per poter costruire, come sottolinea il Presidente della Repubblica, Mattarella. Ha ragione lui quando dice che questo è il momento dei costruttori. Il nostro paese è uno Stivale lungo e per costruire c'è bisogno di maggiore equità e di minori disuguaglianze: penso ad esempio alle infrastrutture di collegamento stradale e ferroviario necessarie allo sviluppo del Paese. Il Pnrr deve tener conto di ciò perché alla fine di questo processo, che è breve, temporaneo, l'Europa ci chiede di costruire un Paese capace di crescere di più, di diventare più competitivo anche perché una parte rilevante di queste risorse è a prestito e i prestiti bisogna ripagarli: non possiamo lasciali solo sulle spalle dei nostri figli».


Il governo però dice che la ripartizione territoriale delle risorse è complicato stabilirla ex ante ma che è abbastanza scontato che su tutte le missioni individuate finora la maggior parte di risorse sarà spesa al Sud: la convince?
«Non dobbiamo dimenticare che a parte il Recovery and resilied facility di cui stiamo parlando, ci sono altre importanti fonti di finanziamento per progetti che riguardano in molti casi soprattutto il Mezzogiorno. Penso ai Fondi strutturali, ad Horizon Europa, alla nuova generazione del Fondo Juncker, ai fondi della Bei, che hanno spesso un arco temporale diverso, dai sette ai dieci anni. La Francia ad esempio sta predisponendo un Pnrr che tiene conto di tutto l'insieme delle risorse disponibili, provenienti da canali di finanziamento diversi, e dunque ha la dimensione totale delle disponibilità e un disegno complessivo che è la difficoltà che abbiamo noi invece in questo momento. Tenendo conto di tutto il preliminare stabilito dall'Ue, e cioè le riforme, i progetti, la valutazione dell'impatto di questi ultimi e infine le risorse occorrenti, siamo di fronte ad una svolta culturale nell'operato dell'Ue e mi auguro che il nostro Paese sia capace veramente di fare questo salto di qualità».


L'Europa ha messo in campo uno strumento mai visto prima: perché è così importante recepirne la novità anche per noi italiani?


«Perché a differenza del passato, e pensi solo al regolamento dei Fondi strutturali, per la prima volta l'Europa in pochi mesi ha varato la mutualizzazione del debito con risorse a mercato: una parte sono a fondo perduto e quindi dovranno essere recuperate attraverso tassazioni ad hoc, come la carbon tax o la tassazione sul digitale, e una parte a prestito a lunghissima scadenza dovranno essere ripagate dagli Stati membri. Questo impianto ha cambiato letteralmente la modalità di operare dell'Europa. La stessa task force che come ho detto prima in questa fase aiuta i Paesi a definire le linee del Pnrr, poi diventerà la loro controparte perché in base al regolamento di prossima emanazione dovrà verificare che norme, progetti, valutazione dell'impatto dei progetti e la richiesta di risorse rispondano al regolamento stesso. Per questo non possiamo sbagliare. Questa è davvero l'ultima occasione per far ripartire il Mezzogiorno e dunque l'Italia». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino