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Manovra con sorpresa per i pensionati che speravano nella rivalutazione dei loro assegni all’andamento dell’inflazione. Mentre c’è una buona notizia per chi lavora con part time verticale ciclico: gli anni di attività saranno pienamente valutati ai fini del diritto alla pensione. Nel pacchetto previdenziale della legge di Bilancio il governo che ha rinviato al 2023 il passaggio al meccanismo di rivalutazione quasi piena degli assegni in essere, che attualmente invece vengono ogni anni adeguati all’inflazione sulla base di percentuali decrescenti al crescere dell’importo. Va detto che per il momento si tratta di un tema soprattutto di principio: ad esempio il prossimo anno è quasi certo (manca solo l’ufficialità da parte del ministero del Lavoro) che i pensionati non avranno alcun adeguamento, poiché nel 2020 il tasso di inflazione sarà addirittura negativo, anche a causa della recessione indotta dalla crisi Covid. Ma il ritorno ad un meccanismo più generoso è uno dei punti fermi della “piattaforma” sindacale e le confederazioni non hanno mancato di protestare.
Nella legge di Bilancio che a breve dovrebbe finalmente essere inviata in Parlamento l’esecutivo affronta anche alcuni temi che oggetto per anni di controversie giudiziarie. Per i lavoratori impegnati in part time ciclico verticale (che prevede l’inattività in alcuni periodi dell’anno) viene stabilito che gli anni di servizio prestati valgano in pieno ai fini del diritto alla pensione. Nello specifico, si stabilisce che il numero di settimane da considerare ai fini previdenziali venga determinato in rapporto al totale dei contributi annuali al minimale contributivo stabilito. La novità riguarda il settore privato, perché nel pubblico valeva già questo principio.
Nel caso di contratti già conclusi, gli interessati dovranno fare domanda.
Novità rispetto all’anno che sta per terminare: potranno accedere all’Ape social anche i disoccupati che non hanno beneficiato della Naspi per carenza del requisito assicurativo e contributivo. Per i lavoratori precoci resta la possibilità, fino al 2026, di andare in pensione con 41 anni di contributi ed una finestra di tre mesi, sempre che abbiano alle spalle almeno 12 mesi di contributi versati prima di avere compiuto i 19 anni di età. Il governo poi ha messo sul piatto 76 milioni per potenziare (nella fase 2021-’23) i contratti di espansione che consentono alle grandi imprese di assumere nuove professionalità con contratti a tempo indeterminato attraverso lo scivolo per i dipendenti prossimi alla pensione (al massimo a cinque anni di distanza dalla scadenza naturale). Potranno servirsene anche le aziende con più di 500 dipendenti, mentre attualmente possono farlo solo quelle over mille. Infine dal 2021 i docenti delle Università private vengono equiparati a quelli degli Atenei pubblici in materia di versamento delle aliquote contributive in vista della pensione.
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