Chi lavora sul delicato dossier previdenziale avverte che siamo solo in una fase preliminare. E d’altronde negli incontri che governo e sindacati hanno avuto nei giorni...
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Fra un anno lo stop al meccanismo sperimentale di Quota 100 promette di produrre effetti ingiusti (uno scalone di ben 5 anni) nei confronti di chi non potrà andare in pensione sfruttando questa finestra e dovrà invece attendere il compimento dei 67 anni. Cosa fare per risolvere il problema? Il governo pensa a varie soluzioni e la preferita consiste nel consentire, dal 2022, a chi lo desidera l’uscita anticipata a 64 anni di età con un mimino di 38 anni di contributi accettando un taglio del 2,8-3% della parte di pensione calcolata con il calcolo contributivo (modello introdotto nel 1996 per tutti i lavoratori) per ogni anno che serve per raggiungere quota 67 anni. Vale a dire l’orizzonte ordinario della pensione. Questa soluzione potrebbe essere particolarmente favorevole ai lavoratori più maturi e ormai prossimi al riposo. Per loro, quelli nati a cavallo degli anni ’60, buona parte della pensione viene infatti calcolata attraverso un modello misto retributivo (per le annualità fino al ’96) e contributivo (per le annualità successive).
E dunque il sacrificio, in termini di taglio della pensione, sarebbe piuttosto limitato. L’alternativa alla cosiddetta Quota 102 (costo ipotizzato: 8 miliardi di euro) consisterebbe nel puntare su uscite flessibili ancora più anticipate anagraficamente e flessibili calcolando l’assegno interamente con il contributivo. Lo Stato avrebbe costi più elevati, in prima battuta, ma poi risparmierebbe nel tempo perché le pensioni ottenute sono legate ai contributi versati e più basse di quelle calcolate con una parte di retributivo. Palazzo Chigi pensa anche ad un doppio binario in grado di favorire chi esercita professioni gravose. «Dobbiamo metterci attorno a un tavolo e fare una lista dei lavori usuranti perché un professore universitario vorrebbe lavorare a settant’anni, mentre in tanti lavori usuranti non possiamo prospettare una vita lavorativa così lunga: dobbiamo avere il coraggio di differenziare» ha spiegato ancora il premier Conte due giorni fa.
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Così prende corpo l’idea di consentire l’uscita anticipata a 62 anni e 36 di contributi, con una penalizzazione ridotta o nulla, a chi oggi usufruisce dell’Ape social (anzianità contributiva di almeno 35 anni e, se lavoratori dipendenti, di un’età minima di 61 anni e 7 mesi, fermo restando il raggiungimento della quota minima complessiva tra età e contributi pari a 97,6 anni, mentre per i lavoratori autonomi l’età minima deve essere di 62 anni e 7 mesi, fermo restando il raggiungimento di quota 98,6). Sono 15 le categorie attualmente ricomprese nella lista delle professioni gravose. E la lista comprende, tra gli altri, operatori ecologici ed altri raccoglitori e separatori di rifiuti; operai dell’industria estrattiva, dell’edilizia e della manutenzione degli edifici; conduttori di gru o di macchinari mobili per la perforazione nelle costruzioni; conciatori di pelli e di pellicce e conduttori di convogli ferroviari e personale viaggiante. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino