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La quota del 40% è stata finora rispettata, anzi risulta persino maggiore (41,5%) pur considerando che è ancora parziale il monitoraggio sul Pnrr e che si parla di risorse stanziate, allocate cioè ai futuri attuatori in attesa di verificare se siano state poi effettivamente impegnate. Ma a preoccupare è soprattutto lo sforzo che devono affrontare i Comuni del Mezzogiorno per assorbire interamente i fondi finora assegnati: dovrebbero aumentare del 64% la loro capacità di spesa annua per investimenti. Che è come triplicare la velocità storica per questa corsa contro il tempo. E il rischio di non farcela tra problemi di congestione e soprattutto di scarsità di personale qualificato è tutt'altro che virtuale, come è emerso anche dalla tavola rotonda organizzata a Caserta dalla Scuola nazionale dell'amministrazione.
È da una ricerca di Banca d'Italia, che sarà presentata nei prossimi giorni alla Fondazione Astrid, presieduta dall'ex ministro Franco Bassanini, che emergono criticità e prospettive sullo stato di avanzamento del Pnrr e dell'annesso Piano nazionale complementare, la cassa da oltre 220 miliardi, soprattutto prestiti, da cui attingere fino al 2026. L'aggiornamento è al 21 dicembre scorso e dunque a dir poco attendibile anche se, come si sottolinea nel documento, si fa ancora fatica ad avere dati precisi e dettagliati.
L'Istituto centrale, che ha messo in campo da mesi un gruppo di lavoro per seguire l'andamento complessivo del Pnrr, spiega che a fine 2022 risultavano assegnati 122,5 miliardi del Pnrr (pari al 63,9% del totale) e 16,5 miliardi sul versante del Pnc (pari al 53,9% della dotazione complessiva).
Complessivamente al Sud è stato finora assegnato, come detto, il 41,5% delle risorse dei due Piani al netto, osserva lo studio di Bankitalia, di quelle destinate a interventi non territorializzabili che rappresentano il 13% del totale. In proposito il Dipartimento delle politiche di coesione, si legge nello studio, ha evidenziato che al 30 ottobre scorso «il 30% delle risorse fino a quel momento distribuite con procedure competitive (bandi soprattutto, ndr) era soggetto ad un rischio medio-alto di riallocazione al di fuori del Mezzogiorno. Si tratta di risorse per 14,2 miliardi per le quali o il vincolo di destinazione territoriale non è associato a clausole di salvaguardia o esistono disposizioni di allocazione su base nazionale in caso di mancato assorbimento della quota riservata da parte del Mezzogiorno».
È un campanello d'allarme piuttosto serio anche se, va ripetuto, il monitoraggio fa i conti con i dati disponibili, spesso aggiornati in ritardo per la complessità delle procedure di rilevazione.
Di sicuro il peso dei territori è assai rilevante. Lo studio conferma infatti che più del 50% delle risorse finora allocate dal Piano di ripresa e resilienza (e dal Pnc) riguarda gli enti locali tra Regioni, Province e soprattutto Comuni che rappresentano la metà di questa platea. Ma per il Mezzogiorno, come detto, non è un segnale del tutto confortante: nel senso che fare presto e bene a spendere non sarà affatto facile. Peraltro, non solo il Sud rischia grosso: il maggiore incremento della spesa annua per investimenti necessario al pieno utilizzo dei finanziamenti riguarda il Centro con un più 72% che non lascia troppi margini alla fantasia. Di fatto, tra Centro e Sud il Pnrr si gioca la fetta più consistente della sua credibilità ma i primi andamenti di spesa confermano che i problemi esistono, tra bandi non proprio equilibrati e carenze amministrative locali. La Puglia, ad esempio, ha bucato le risorse idriche mentre la Sicilia non ha portato a casa quelle per l'istruzione, come documenta l'Ufficio parlamentare di Bilancio. E sull'utilizzo degli incentivi 4.0 è tutto il Sud ad essere stato finora poco reattivo come la storia degli asili nido aveva già abbondantemente dimostrato.
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