Recovery plan, cento miliardi al Sud in tre anni: nuovi investimenti per infrastrutture e innovazione

Recovery plan, cento miliardi al Sud in tre anni: nuovi investimenti per infrastrutture e innovazione
La simulazione del governo è un invito, inevitabile, alla fiducia. Perché una crescita del Pil (fino al +5,3% nel 2023) e dell'occupazione del Mezzogiorno...

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La simulazione del governo è un invito, inevitabile, alla fiducia. Perché una crescita del Pil (fino al +5,3% nel 2023) e dell'occupazione del Mezzogiorno superiori alla media nazionale nei prossimi 3-4 anni, con punte significative per alcune regioni, è sicuramente una robusta iniezione di ottimismo. Quanto poi realisticamente la previsione contenuta nell'ultima bozza del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) sarà vicina alla verità dei fatti, nessuno ovviamente può prevederlo, specie alla luce dei rischi di aumento del divario legati alla pandemia. Di sicuro, nello scenario ipotizzato da Palazzo Chigi, la cornice all'interno della quale verranno scelti i progetti su cui far confluire le risorse dell'Ue, il Mezzogiorno è oggettivamente centrale. Che si parli di inclusione sociale o di recupero dei ragazzi alla scuola, di maggiore ricorso all'energia prodotta da fonti rinnovabili o di ecosistemi dell'innovazione, di sostegno all'occupazione femminile o di grandi attrattori culturali, il Sud c'è, sempre. E la partita che lo riguarda diventa anche più credibile se si pensa alle risorse disponibili: la simulazione del governo, infatti, calcola che lungo l'asse Pnrr-Piano Sud 2030-Fondo sviluppo coesione-Legge di Bilancio 2021, e con in più la riserva del 34% che è stata recepita anche per il Recovery Plan italiano, ci sono almeno 100 miliardi in campo, senza contare i Fondi strutturali europei 2021-2027. Tantissimi, certo, ma tutti stavolta da spendere per evitare che restino solo un annuncio, l'ennesimo, di cui nessuno ormai sente il bisogno. Per fortuna i soldi del Next Generation Eu hanno tempi strettissimi, due anni per rendicontare le spese, che riproporre meline e incertezze del passato non ha decisamente alcun senso. 

In quei 100 miliardi, che comprendono anche l'impatto della fiscalità di vantaggio, con il taglio del costo del lavoro a scalare del 30% per le imprese che lavorano nel Sud, c'è il tentativo di invertire la rotta. Di raccontare un Mezzogiorno capace di mettersi al passo con il resto del Paese, cioè, e di non sprecare l'occasione, quasi sicuramente l'ultima, che gli si offre. Ma dietro le cifre si leggono (e non solo metaforicamente, per fortuna) gli scenari più operativi per recuperare il gap. In attesa infatti che i progetti ammessi agli investimenti vengano annunciati dal governo, si sa già che ne faranno parte la Strategia per le aree interne, uno dei pallini del ministro per il Sud Peppe Provenzano, che mira a recuperare i borghi abbandonati e dunque spopolati (ma anche aree diverse da quelle costiere) dotandoli di maggiori servizi e incentivi per il sostegno alla micro-imprenditorialità locale; gli ecosistemi dell'innovazione, con la replica del modello di San Giovanni a Teduccio in altre città meridionali, e il decollo delle Zes. Che ad onta dello scetticismo che le accompagna dalla loro istituzione, avvenuta nel 2016, resta una priorità per il governo in chiave Mezzogiorno: non a caso nel Pnrr si fa esplicito riferimento all'istituzione dello Sportello unico amministrativo che dovrebbe garantire ben altra celerità alle procedure di insediamento nelle singole aree portuali e retroportuali (attualmente sono 34). Una scelta per la verità diversa dall'autorizzazione unica caldeggiata da alcuni addetti ai lavori, come il presidente dell'Authority portuale di Napoli Pietro Spirito, secondo cui è l'unica strada per sburocratizzare veramente tutti i passaggi autorizzativi. 

Nel recupero del divario saranno decisivi anche altri investimenti, in questo caso più volte ribaditi dal governo. L'Alta velocità ferroviaria, ad esempio, con priorità non solo alla Napoli-Bari ma anche alla Salerno-Reggio Calabria, e il rafforzamento della Catania-Messina-Palermo e dell'asse tra Salerno e Taranto. E i grandi attrattori culturali: il Pnrr parla espressamente a proposito di Mezzogiorno dei parchi borbonici in Campania, unitamente al parco costiero pugliese della cultura, dell'ambiente del turismo e al nuovo auditorium previsto a Palermo, inserendoli in un ristretto elenco di opere capaci di accrescere la domanda e l'interesse di turisti e appassionati oltre i confini nazionali. Ma quanto conterà, poi, concretamente il Sud per così dire politico nell'attuazione e soprattutto nella gestione vera e propria del Recovery Plan? Quanto peso, cioè, al momento opportuno sarà garantito al Sud al di là delle buone intenzioni del governo e del premier in particolare? Una risposta ci sarebbe già, nel senso che nella norma relativa alla governance, uno dei nodi politici, appunto, più delicati, sarebbe stata riconosciuta la presenza del ministero del Sud e della Coesione territoriale. Sarà così possibile garantire, in raccordo con il Comitato esecutivo, la coerenza tra le risorse disponibili e quelle dei Fondi strutturali 2021-27 che per l'Italia ammonteranno a circa 43,5 miliardi, dei quali circa l'80 per cento destinati al Mezzogiorno. Questo da un lato impedirà che si verifichino sovrapposizioni e confusioni nell'utilizzo delle risorse ma dall'altro permetterà che gli interventi sui quali attivare la corsia preferenziale vengano seguiti direttamente anche da chi li ha in gran parte annunciati nel piano Sud 2030. Proprio quello che a giudizio della Commissione europea permette all'Italia di essere più credibile del passato nonostante tutte le sue incognite politiche di ieri e, purtroppo anche di oggi. 

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Il Mattino