Il mobile come opera d’arte: se il Salone sfida il low cost

A Milano apre i battenti la rassegna nel nome del gusto

Inviato a Milano Una cosa è chiara quest’anno alla 62/a edizione del Salone del Mobile che fino a domenica è di scena alla Fiera di Milano (presenti oltre...

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Inviato a Milano

Una cosa è chiara quest’anno alla 62/a edizione del Salone del Mobile che fino a domenica è di scena alla Fiera di Milano (presenti oltre 1.950 espositori provenienti da 35 Paesi): il “bello”, “ben fatto” e “molto fatturato” del sistema del legno-arredo italiano non solo è il primo settore al mondo, ma al mondo impone anche la sua sintassi. Finita l’epoca della soggezione ai prezzi bassi della Cina e dintorni, è del tutto evidente l’orgoglio di portare prodotti di alta qualità nei mercati premium del mondo. Gli altri si occupassero pure della fascia low cost.

Perché la sfida raccolta (e mostrata) dalle imprese italiane del mondo del design è quella dell’innovazione continua sui materiali, sui processi produttivi e sui prodotti e anche sulla stessa sostenibilità delle imprese. Un moto perpetuo fatto di ricerca, ma anche di piena appropriazione di valori culturali e ambientali del made in Italy. Non si vende un divano, una cucina, un complemento d’arredo: si vende quasi un’opera d’arte. Prodotti né duplicabili, né copiabili. Come ha riconosciuto il ministro delle imprese e del Made in Italy Adolfo Urso (che insieme a quello del Turismo, Daniela Santanché, al sindaco di Milano Giuseppe Sala, al governatore della Lombardia Attilio Fontana, oltre alla presidente del Salone del Mobile Maria Porro ha inaugurato ieri il Salone): «Fare politica industriale italiana - ha detto - come ci avete insegnato voi significa fare il brand dell'Italia. Il Salone del Mobile può esistere solo a Milano. Quel prodotto si può fare solo in Italia, perché è frutto di investimenti dell'arte e di una storia millenaria che ha fatto del lavoro creativo e dell'innovazione gli elementi di forza della sua identità, che sono i binari su cui si regge la sfida dell'Italia e del lavoro italiano nel mondo». «Quella sfida la raccogliamo e siamo sicuri di vincerla insieme a voi», ha concluso Urso.

Prodotti, dunque, sempre più riconoscibili per la qualità e l’innovazione che incontrano sui mercati mondiali anche nuove sensibilità culturali e nuove disponibilità economiche.

È l’Oriente, magari non più solo la Cina (il cui mercato dei nouveaux riche continua a guardare con deferenza al made in Italy, preferendolo anche alle aggressivissime e performanti produzioni nazionali) ma anche e soprattutto l’India. Dopo aver superato la Cina per popolazione il “continente” indiano dispone ora di una fascia di popolazione con grandi disponibilità economiche e soprattutto un grande gusto estetico. «Non si vende a prezzo - si spiega nei padiglioni sconfinati e affollatissimi del Salone - ma a progetto: i clienti vogliono partecipare dalla fase di ideazione a quella di realizzazione: non comprano una “cosa” ma sensazioni». Sarà per la loro profonda cultura, sarà che la ricchezza affina il gusto ma davvero l’India sembra essere una nuova e importante frontiera dell’italian style. Ovviamente e per fortuna non è una novità in assoluto, ma gli ultimi anni con i loro successi economici e l’aumento della quota di popolazione indiana “benestante” ha cambiato il panorama.

Certo la compagnia è buona (gli Stati Uniti, i paesi arabi del Golfo e quelli importanti della vecchia Europa sono sempre molto attenti all’italian style), nonostante la flessione del giro d’affari (-7,8%) del 2023 il vento (non solo quello che da metà della giornata di ieri ha spazzato anche i padiglioni) sembra essere tornato a soffiare nella direzione giusta.

Le insidie

Con le questioni aperte, ovviamente: anzitutto la guerra Ucraina-Russia che ha rarefatto i compratori russi (ma comunque presenti al Salone!) sia quelli in patria, sia quelli espatriati nei tanti paradisi fiscali dei microstati europei che permettono ai tanti oligarchi di vivere bene ma non benissimo causa il blocco dei conti correnti imposto con le sanzioni a Mosca. E poi l’indeterminatezza della situazione nel Vicino Oriente, perché i mobili in India bisogna farli arrivare e non è la stessa cosa la rotta del Mar Rosso o quella della circumnavigazione dell’Africa. E l’annosa, sempre risolvenda e mai risolta questione, della superfetazione burocratica italiana.

Lo ha ripetuto il ministro del Turismo Daniela Santanchè: «Per usare una frase della nostra presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, secondo me molto efficace: il governo ha capito che non deve disturbare chi lavora. Infatti troppo spesso lacci e lacciuoli imbrigliano la creatività e la capacità delle nostre imprese». Se il Salone negli spazi e nelle proposte tende all’infinito, il FuoriSalone che si estende su molte aree di Milano ha da tempo abbracciato l’idea che si possa vivere nell’infinito: kermesse, performance, molto design innovativo e tanta palestra per giovani italiani e stranieri. Di alcuni vedremo la firma alle prossime forme, altri ci avranno provato in un clima che resta di grande fervore creativo e intellettuale. Ciò che si festeggia alla Triennale Milano dove si celebrano i 25 anni di SaloneSatellite la vetrina under 35 del Salone ideata e curata da Marva Griffin nel 1998.

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Il Mattino