Mancano i semiconduttori, la produzione di auto in tilt per carenza di microchip

Mancano i semiconduttori, la produzione di auto in tilt per carenza di microchip
Stop and go, direbbero gli appassionati di Formula uno con un pizzico di ottimismo. Ma al momento la crisi dei microchip, i semiconduttori di cui l'industria automobilistica...

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Stop and go, direbbero gli appassionati di Formula uno con un pizzico di ottimismo. Ma al momento la crisi dei microchip, i semiconduttori di cui l'industria automobilistica (e non solo) non può fare a meno (in Europa la filiera di settore pesa per quasi il 40% sulla domanda totale dei chip del Continente) fa registrare quasi più fermate che ripartenze degli stabilimenti. In Italia, ad esempio, Stellantis è stata costretta a bloccare per una settimana, la prossima, la Sevel di Atessa, in Abruzzo (5.670 lavoratori), dove si prevedeva di chiudere il 2021 con 320mila modelli di Ducato, nuovo record per il veicolo commerciale che non aveva mai incontrato, finora, blocchi di sorta. Lo stesso potrebbe accadere a Melfi (oltre 7mila dipendenti) dove i sindacati sono stati convocati per domani e in molti già in queste ore danno per scontata una decisione analoga. Ripercussioni possibili anche nel Torinese, polo Maserati, mentre a Pomigliano (4.400 addetti) per il momento segnali di questo genere non si intravedono. Almeno in apparenza. Il rientro previsto per domani, dopo le ferie di agosto agganciate a loro volta ad una precedente sospensione dell'attività a luglio, sempre a causa della crisi dei chip, è confermato. 

Ma si naviga a vista «perché la sensazione è che la situazione non migliorerà prima del 2022», dice Biagio Trapani, leader regionale della Fim Cisl di Napoli. E aggiunge: «In ogni caso l'investimento sul Tonale, il suv dell'Alfa assegnato allo stabilimento, va avanti: per ora è confermato che si andrà in produzione entro il primo trimestre del 2022». 

Già, per ora. Perché il terremoto imposto dal Covid è una novità per tutti e come succede in questi casi dubbi e incertezze si sprecano, specie in chiave occupazionale. I sindacati chiedono ad esempio a Stellantis di rendere noti i criteri di assegnazione dei chip agli stabilimenti europei e minacciano uno sciopero ad Atessa se non si chiarirà il futuro dei 700 lavoratori in somministrazione dello stabilimento. Di sicuro la tempesta perfetta (prima i lockdown, poi la crisi dei microchip con le aziende produttrici, concentrate all'80% in Cina, impegnate a soddisfare soprattutto i nuovi bisogni dell'elettronica civile: le persone costrette a restare a casa hanno acquistato in massa dispositivi elettronici, dai computer per lo smart working e la didattica a distanza, alle consolle) continua a fare danni all'auto.

Le aziende hanno provato a parare il colpo con la riduzione dell'orario di lavoro in quasi tutti gli impianti, da Mercedes a Volkswagen, da Stellantis a Renault. Ma non è bastato. La Bmw si è trovata con diecimila modelli pronti ma inutilizzabili perché privi di chip. Audi, il maggior contributore di profitti del gruppo Volkswagen, ha dovuto prolungare la pausa estiva di una settimana. E Toyota, che pure aveva resistito all'impatto della pandemia restando relativamente indenne dalla carenza di semiconduttori rispetto ai suoi rivali, ha annunciato una contrazione del 40% della sua produzione globale per il 2021.

Introvabili (l'attesa dura anche 20 settimane) ma anche sempre più costosi i microchip che fanno tremare l'industria dell'auto. Un esempio? La Taiwan Semiconductor Manufacturing Co. (Tsmc), il maggior produttore con una quota mondiale del 31%, prevede rincari del 10% per i semiconduttori più avanzati e di circa il 20% per quelli meno sofisticati impiegati nell'automotive. Difficile non pensare che non saranno scaricati sul costo finale dell'auto. «I problemi sono però maggiori in Italia - spiega Nicola Giorgio Pino, patron del gruppo Proma, leader della componentistica, 3.500 dipendenti in tutto il mondo - Perché qui l'interesse per l'industria dell'auto, ad ogni livello, nazionale e regionale, continua ad essere molto basso. E di conseguenza certe emergenze, come la crisi dei chip, pesano di più. Non è un caso che nel 1969 si producevano da noi 1,9 milioni di auto e oggi solo 500mila. Il prossimo anno perfino il Marocco ne produrrà più di noi».

L'allarme per la componentistica nazionale è suonato da tempo. Dice Pino: «Un'industria auto forte è garanzia di una componentistica altrettanto solida. Ma in Italia non si fanno scelte precise per sostenere il settore. Non si incentivano gli acquisti per sostituire 3 milioni di auto Euro zero, non si decide come incentivare la produzione di energia elettrica e non ci sono piani per le colonnine di alimentazione». Meglio l'estero per fare business, a quanto pare: Proma ha infatti appena investito 35 milioni per fornire in loco componenti al maxi Ducato che Stellantis realizzerà in Polonia, atteso che ad Atessa è impossibile accrescere ulteriormente i volumi produttivi. Già, la Polonia: il governo locale ha infatti esteso fino al 2026 i benefìci delle Zes, che significano sgravi fiscali e basso costo del lavoro per chi investe. Zes, vi dice qualcosa questa sigla? 

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Il Mattino