Non aspettatevi gadget di Star Wars, occhiali da vista squadrati e spessi, maglie coi personaggi dei fumetti. Se non fosse per un cubo di Rubik su una poltroncina, i caratteri...
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L’esperimento Apple e Federico II è iniziato cinque mesi fa. La maggior parte dei ragazzi ha messo in stand-by gli studi universitari, qualche coraggioso cerca di portare avanti in parallelo i due percorsi e c’è chi all’università non si era ancora iscritto perché fresco di diploma. L’età e il background qui contano poco. Quello che serve è avere passione per i codici, il resto si impara. «Ma non è certo come l’università», precisa Marco, ventiseienne napoletano, dando voce al pensiero di tutti, dai colleghi ai docenti.
E lo si capisce subito nell’open space dove si «impara». Una decina di tavoli rotondi, sedie con le ruote, schermi su tutte le pareti e microfoni, perché chi parla possa essere sentito da tutti, che sia un prof o un allievo. Ovviamente in inglese, perché si studia in lingua e non mancano gli stranieri tra i ragazzi. «Siamo parte attiva di qualcosa», dice Cristina, studentessa di ingegneria di 23 anni. «C’è interazione, scambio, partecipazione: è un ambiente stupendo», le fa eco Roberto, diciannovenne smanettone che l’università la frequenterà, forse, più avanti.
Parlare di lezione qui è molto fuorviante. Non esistono cattedree o file di banchi. Si impara facendo, in gruppi ogni volta diversi. Ai ragazzi viene assegna una sfida e la spiegazione si fa in base a quello di cui hanno bisogno e per chi ne ha bisogno. Il metodo Apple lo racconta così Fabio de Paolis, docente dell’Academy completamente estraneo al mondo accademico. «Sono un imprenditore che lavora nel campo Ict, non avevo mai insegnato prima, ma porto qui la mia esperienza». L’intero impianto su cui ruota il progetto è innovativo, con grande sinergia con Cupertino.
L’appuntamento è ogni mattina poco prima delle 9 per il caffè di rito. Si studia fino all’una e poi si resta tra una schitarrata in area relax e un confronto in aula studio, dove già si iniziano a cogliere i primi frutti di questo progetto. Oltre alla app create durante i corsi - che spaziano dal business al design, contrariamente a chi credeva fossero solo codici e programmazione - qualche gruppo sta pensando di fondare una startup. Jippe, ventiduenne arrivato dall’Olanda proprio per l’Academy, Federica e qualche altro collega hanno già in mente di sviluppare app legate alla salute e al fai-da-te, mentre Roberto e il suo gruppo puntano sugli sport amatoriali.
Un fermento di idee che è proprio l’obiettivo che Giorgio Ventre, direttore del dipartimento di Ingegneria elettrica e delle tecnologie dell’informazione alla Federico II e responsabile del progetto Apple, aveva in mente: «In questa città non bisognava portare posti di lavoro, ma formare mentalità che possano creare sviluppo e innovazione. Coi nostri ragazzi e attirando anche giovani dall’estero». Come Önder, in città da meno di due mesi e con la voglia di restare anche alla fine dell’Academy. Gli manca la Turchia? «Non scherziamo, mi sento a casa. Napoli è uguale a Istanbul». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino