Dalle biomasse agricole si possono produrre materiali polimerici attraverso una filiera completamente sostenibile. Si chiama BioPolis ed è il risultato a cui sono arrivati...
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Più semplicemente il gruppo di ricercatori coordinati da Vincenza Faraco, dell’Università Federico II, ha messo appunto un prototipo di filiera agro-industriale per cui da determinate piantagioni dislocate in quei territori dai terreni più poveri o inquinati si possono produrre materiali plastici che possono sostituire i loro equivalenti, provenienti da fonti fossili. Il vantaggio? «Una forte riduzione dell'emissione di anidride carbonica derivante dall’uso di prodotti di origine fossile – ha spiegato Salvatore Iannace, Istituto per i Polimeri, Compositi e Biomateriali del CNR – Anche se non ci sono ancora delle normative specifiche tutte le aziende oggi sono spinte dal mercato a muoversi verso prodotti di origine bio».
BioPolis è una vera e propria bioraffineria. Da piantagioni di cardo, canna, girasoli, sorgo, eucalipto e pioppo possono venir fuori biomateriali come film, pellicole, prodotti stampati, adesivi e schiume. In questo modo non solo si ottengono prodotti completamente bio ma si sfruttano quegli ettari di terreno che altrimenti rimarrebbero inutilizzati. «Non è cosa da poco se si considera che solo in Campania, nell’Appennino interno, abbiamo trovato quasi 100.000 ettari di terreni disponibili per coltivare biomasse», ha spiegato Massimo Fagnano del Dipartimento di Agraria dell'Università Federico II. Una vera svolta, considerato il difficile momento che sta vivendo l’intero ecosistema.
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Il Mattino