Colpo di scena nel processo per il delitto di Lidia Macchi. Stefano Binda, assolto oggi in appello a Milano dall'accusa di aver ucciso la studentessa nel 1987, già in...
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Lidia Macchi, la svolta al processo: «La prova chiave era un falso»
«Credo che servisse un minimo di approfondimento in più.
«Sono un po' stordita, sono molto contenta e ora andiamo a casa, siamo stanchi», è il commento di Patrizia Esposito, difensore di Stefano Binda. Le motivazioni della decisione della prima sezione della corte d'assise d'appello saranno rese note tra 90 giorni. Binda, presente in aula in una gabbia protetto dal vetro, è rimasto quasi immobile, come sotto choc, quando è stato pronunciata la sentenza: nessuna lacrima o frase rivolta ai presenti. Potrà tornare a casa dopo il ritorno nel carcere di Busto Arsizio (Varese) per le pratiche burocratiche.
La svolta è arrivata nel processo d'Appello contro Binda (nella foto qua sopra). Ex compagno di liceo di Lidia Macchi, Binda frequentava lo stesso gruppo di Comunione e liberazione ed era considerato dall'accusa l'autore di una lettera ritenuta la prova chiave del caso. La deposizione dell'avvocato Piergiorgio Vittorini ha però incrinato ogni certezza: «Un mio cliente mi ha detto di essere l'autore di quella missiva», ha detto davanti ai giudici. L'uomo, ha raccontato il penalista, si è presentato nel suo ufficio a febbraio 2017, un anno dopo l'arresto di Binda, liberandosi di quel macigno: «A oltre trent'anni il segreto mi sta lacerando l'anima, ho una famiglia, ho dei figli. Ho scritto io la lettera inviata alla famiglia di Lidia».
«Verrà la morte e avrà i tuoi occhi», recitava la missiva, citando Pavese. Era il 10 gennaio 1987, giorno del funerale di Lidia, e a casa Macchi a Varese arrivò una busta anonima con quella lettera e un'ode struggente: «In morte di un'amica», era il titolo. Racconta i dettagli dell'omicidio della studentessa ventenne, massacrata nel bosco di Cittiglio con 29 coltellate. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino